Prospettive del cambiamento
sociale
di Robert Kurz
2003
Per una coscienza dominata dal
mercato universale, la percezione, in tutti i campi della vita, si riduce
oramai a dei fenomeni congiunturali. Ciò che è vero oggi rischia di non esserlo
più domani; ma che importa il contenuto quando non si tratta più che di «
vendere » il più velocemente possibile. E questo vale per le teorie così come
per le automobili o le cravatte. A questo stadio, l'idea di « cambiamento
sociale » non ha fondamentalmente più alcun senso. Perché, affinché abbia un
senso quest'ultimo deve fare riferimento a un'evoluzione nel tempo che potremmo
definire attraverso l'analisi, dunque a una storia delle strutture sociali. La
coscienza postmoderna, completamente conforme alle esigenze del mercato, non
conosce più nessuna evoluzione storica, non conosce che il carattere
indifferente di tendenze incoerenti. La teoria critica della società si vede
sempre più sostituita dall'analisi delle tendenze (trend research).
La differenza tra strutture
oggettive e percezione soggettiva diventando così non rappresentabile, si vede
sparire allo stesso tempo la capacità di afferrare intellettualmente i nostri
rapporti sociali. Anche un'ideologia puramente apologetica diventa allora
impossibile, perché suppone anch'essa, l'idea di uno sviluppo oggettivo (anche
se questa idea è falsa o non ha che una funzione legittimatrice). Tuttavia,
poiché una società lacerata dalle sue proprie contraddizioni com'è la società
del mercato totalitaria non può affatto privarsi di una ideologia
legittimatrice, il pensiero postmoderno deve ricorrere sul piano
economico-sociologico a delle teorie più antiche che pretendono ancora una
certa oggettività, nel senso tradizionale del termine. Poco importa che ciò sia
contraddittorio, perché ad ogni modo, per il pensiero postmoderno, essere
contraddittori ha qualcosa di virtuoso.
Benché le teorie postmoderne
ricusino ogni determinismo strutturale, le analisi di tendenza e il loro
sotto-apparato concettuale si muovono sempre in un contesto determinato da
teorie sociologiche che trattano del « cambiamento sociale » in termini di
determinismo strutturale. Esplicitamente o implicitamente, le « mode »
ideologiche postmoderne presuppongono, anch'esse, una certa visione oggettiva
dello sviluppo sociale in rapporto ai tre settori fondamentali della
riproduzione sociale (agricoltura, industria, servizi). È il ritratto
fantomatico della « terziarizzazione », un tempo tanto vantata, che continua a
segnare i discorsi sociologici, anche se i presupposti metodologici delle
scienze sociali classiche che hanno fatto nascere al teorema di questa terziarizzazione
sono negati. Si critica il metodo, mentre, in fondo, si intasca il risultato.
Secondo questa teoria oramai
classica, la società passerebbe, nel corso dell'evoluzione storica, dal settore
agricolo primario al settore industriale secondario per finire nel settore
terziario: quello delle prestazioni di servizi. Si assisterebbe dunque a una
ridistribuzione progressiva della forza lavoro « impiegata ». Questo processo
sarebbe, soprattutto ai suoi inizi, accompagnato da rotture strutturali
dolorose, ma finirebbe con l'approdare su una nuova fase di « pieno impiego » e
di prosperità eccezionale. Questa teoria socio-economica della terziarizzazione
è oggi vecchia di alcuni decenni e si dovrebbe farne il bilancio, il che è
impossibile con gli strumenti intellettuali del pensiero postmoderno. Da un
punto di vista superficiale, questa tesi della terziarizzazione si è vista
confermata dai fatti, ma in un modo del tutto frammentario e in ben altro modo
di come non l'avevano lasciato supporre le ipotesi ottimiste di un tempo. Ciò
che i fatti non hanno confermato, è la spinta eccezionale in materia d'impiego
e di prosperità che ci si aspettava. Al contrario, sembra che la
terziarizzazione reale si accompagni ad un processo di restringimento e di
crisi economiche in tutto il pianeta.
Contribuisce anche ad oscurare il
problema il fatto che il settore terziario, a differenza del settore agricolo e
industriale, non può essere definito in modo omogeneo. La categoria di «
servizi » può inglobare delle attività estremamente diverse, molto distanti le
une dalle altre. Si distinguono due grandi gruppi. Da una parte, dei campi a
qualificazione molto elevata, come la medicina, l'insegnamento, la formazione,
la scienza, la cultura, ecc. Dall'altra, dei campi particolarmente non qualificati,
composti dai domestici e ausiliari mal remunerati nelle imprese di servizio
(ristorazione, pulizie, servizi personali, ecc.). Cucinare degli hamburger,
riempire i sacchi al supermercato, vendere lacci per scarpe per la strada o
lavare i parabrezza ai semafori passano come attività del settore terziario
come formare dei manager, educare dei bambini o organizzare dei viaggi di
studio. La domestica e il custode dei parcheggi appartengono alla stessa
categoria del medico e dell'artista.
Questa contraddizione sembrava
segnare, per un periodo abbastanza lungo, anche la differenza sociale tra i
paesi occidentali e il terzo mondo. Certo, nei paesi del Sud globale,
l'agricoltura, nella misura in cui produce per il mercato mondiale, è stata
resa del tutto scientifica e meccanizzata come in Occidente. Ma, al contrario
che nei paesi del centro capitalista, il semplice passaggio dal settore
primario dell'agricoltura al settore secondario dell'industria si è rivelato un
fallimento nella maggior parte dei casi dove non è riuscito che in modo molto
incompleto. È anche il fallimento della « industrializzazione di recupero » che
ha fatto sorgere una situazione paradossale, dal punto di vista della teoria
dei tre settori fondamentali. Da una parte, una parte della società si è vista
portata allo stadio di una primitiva produzione agricola di sussistenza,
vegetando accanto ad un'industria agroalimentare orientata secondo i bisogni
del mercato mondiale; dall'altra, si è assistito a una consistente
terziarizzazione di miseria nelle agglomerazioni urbane mostruosamente
gonfiate.
In compenso, nei centri
occidentali, i pronostici ottimisti della terziarizzazione sono sembrati
verificarsi in un primo tempo. In Occidente, il declino sociale verso la
disoccupazione sociale di massa è certamente cominciato sin dagli anni 70. Ma
questa evoluzione negativa doveva essere ammortizzata dal trattamento sociale
del problema: ci si mise quasi a credere che si poteva doppiare ogni
disoccupato con un lavoratore sociale. La « industria di controllo » per le
persone uscite dal sistema sembrava promessa a diventare un fattore di
crescita. Parallelamente a questa assistenza sociale, il sistema di cure
mediche entrò in una fase di espansione. Allo stesso tempo, ci si mise a creare
dei centri di attività ricreative, dei luoghi d'incontro, delle università
sperimentali così come nuovi sistemi di qualificazione professionale.
Formazione, società di attività ricreative, pedagogizzazione della vita: queste
erano le fondamentali parole dello Spirito del tempo occidentale sino agli anni
80. In una misura nettamente minore, le stesse tendenze esistevano nel terzo
mondo, ma soltanto sotto forma di una terziarizzazione di lusso per una
minoranza, alla quale faceva fronte una terziarizzazione di miseria per la
maggioranza. In Occidente, in compenso, sembrava trattarsi di un cambiamento «
strutturale per tutti ».
Ma questa forma di
terziarizzazione comportava una difficoltà, e notevole. Era « non produttiva »
nei termini capitalisti e non costituiva affatto una spinta di crescita
commerciale, ma doveva essere alimentata da fondi pubblici e organizzata, per
un'ampia parte, sotto forma di servizi pubblici. Tutto ciò quadrava male con la
contrazione economica della crescita industriale. Per un certo tempo, si riuscì
a mantenere a galla questa meravigliosa società della formazione,
dell'educazione, del tempo libero e del trattamento sociale, ma soltanto
attraverso un indebitamento pubblico che assunse delle dimensioni drammatiche.
L'illusione finì per esplodere e ci si mise a smantellare i settori portatori
della pretesa « società dei servizi ».
Durante gli anni 90, il
capitalismo diede nascita a due opzioni con le quali si pretendeva di
affrontare la crisi. « Privatizzare » era la parola d'ordine e quest'ultima suggeriva
che si sarebbe potuto trasformare i settori terziari (infrastrutture comprese)
di cui lo Stato non poteva più assumere la riproduzione, in imprese private
producenti dei benefici. Allo stesso tempo, la New Economy, in quanto versione
commerciale high-tech del settore terziario (capitalismo Web), era ritenuta in
grado di creare una crescita vantaggiosa e degli impieghi. Sappiamo che le due
possibilità sono fallite. La New Economy si è rivelata una semplice « bolla
speculativa », mentre l'impiego e la crescita reale di questo settore restavano
quantità trascurabili. In quanto ai vecchi servizi pubblici privatizzati, non
sono nemmeno essi vettori di crescita capitalista. Una medicina o un'educazione
quotate in Borsa si riducono rapidamente a una clientela privata solvibile,
mentre la maggior parte delle strutture di questi settori è smantellata. In
numerose regioni del terzo mondo, si assiste anche al crollo di ogni
infrastruttura della società. Una tendenza simile si profila, sotto una forma
accentuata, nei paesi occidentali.
Non resta nulla delle antiche
promesse di una terziarizzazione progressiva sotto forma di una società della
formazione, della cultura, del trattamento sociale e del tempo libero. La crisi
colpisce persino il turismo. Al suo posto abbiamo la terziarizzazione della
miseria che conosciuta dal terzo mondo ad essere eretta come modello per i
centri del mercato mondiale. Senza il minimo scrupolo, i discorsi politici e
socio-economici occidentali puntano oramai su un'ultima opzione: l'esistenza di
masse di servi a buon mercato come nei primi tempi del capitalismo. Possiamo
immaginare una società high-tech planetaria con, da una parte, alcuni
capitalisti finanzieri e manager transnazionali, e dall'altra miliardi di
serve, autisti, valletti, cameriere, dame di compagnia, facchini, servitori,
ecc.? Ciò somiglia piuttosto alla cattiva fantascienza. Se esiste nel terzo
mondo una tradizione ereditata dall'epoca coloniale e fondata su rapporti
paternalistici da padrone a servo (soprattutto là dove il colonialismo poggiava
sulla schiavitù), le condizioni del mercato universale fanno che questi
rapporti di dipendenza personali da padrone a schiavo, così come essi
esistevano agli inizi del capitalismo come reliquie del mondo feudale, sono
diventati impossibili su vasta scala. E non è nemmeno in quanto imprese
commerciali impersonali, che i servizi di domestici possono trasformarsi in
vettori di crescita, così come l'educazione o la medicina privatizzate. Per
questo la domanda solvibile non è abbastanza grande perché, con la crisi
scatenata dalla terza rivoluzione industriale, le classi medie stanno
scomparendo anch'esse. I miliardi di individui che, ovunque nel mondo,
precipitano nella terziarizzazione di miseria non sono in fondo niente di più
che dei mendicanti « un po' meglio favoriti », degli « esclusi » ai quali il
capitalismo non offre più prospettive.
Il disastro storico della
terziarizzazione rinvia al problema tabù della forma sociale. Da un punto di
vista puramente tecnico e materiale, la produttività generata dalla terza
rivoluzione industriale permetterebbe realmente all'umanità di non dedicare più
che una parte relativamente piccola alla produzione agricola o industriale per
occuparsi soprattutto di formazione, educazione, cure, medicina, cultura, ecc.
La prima parte di questo programma si realizza: sempre meno individui sono
impiegati nei settori primari e secondari. Ma la seconda parte fallisce: il
trasferimento delle risorse umane nel settore terziario non è traducibile in
termini capitalistici. Ne abbiamo oggi la prova pratica.
La dottrina economica dello
sviluppo dei tre settori ha sempre avuto il difetto di non aver comprensione
storica di se stessa. Perché questa evoluzione non si svolge all'interno di
strutture capitaliste « eterne ». La società agraria premoderna non era fondata
sulla valorizzazione di capitale-denaro. È per questo che lo spostamento del
centro di gravità della riproduzione sociale del settore agricolo verso il
settore industriale ha costituito una rottura con la forma dei rapporti di
dipendenza personale che prevaleva sino ad allora e che fu sostituita dalla
forma impersonale del capitale-denaro. Allo stesso modo, il passaggio dalla
società di servizi rende ora necessario la rottura con il sistema moderno di
produzione di mercato e l'avvento di un ordine diverso, qualitativamente nuovo.
Questa rottura necessaria con la
forma sociale fondamentale comporta anche una dimensione culturale e simbolica.
La società agraria, dalla rivoluzione neolitica, aveva una visione organica del
mondo in cui il metabolismo sociale e culturale, il « metabolismo con la natura
» (Marx), si riferiva innanzitutto a delle piante e a degli animali. Questa
visione del mondo non era affatto così dolce ed "ecologica" come
l'insinuano oggi alcune ideologie regressive. Si trattava piuttosto di un
rapporto di dominio che, sotto la forma della dipendenza personale (schiavismo
e feudalesimo), riduceva l'uomo alla sua funzione organica, in quanto « animale
dotato di parola ».
La società industriale del
moderno sistema di produzione di mercato aveva, all'opposto, una visione
meccanica del mondo in cui il metabolismo sociale e culturale, il « metabolismo
con la natura », era socioculturale e si riferiva innanzitutto a della materia
morta e fisica (macchine e merci industriali). Attraverso la forma impersonale
del denaro, questa visione del mondo riduceva l'uomo allo stato di robot
compiente meccanicamente le sue funzioni.
Ancora sconosciuta, la società
terziaria aldilà della modernità meccanica esige una visione sociale del mondo
in cui, per la prima volta, il « metabolismo con la natura » si riferirebbe
innanzitutto all'uomo stesso, trasformandosi dunque così in metabolismo della
società stessa. « La radice dell'uomo, è l'uomo stesso » (Marx): è soltanto ora
che questa verità tende ad assumere una forma sociale. Con la fisica
quantistica, le scienze hanno da quel momento lasciato dietro di loro la
visione meccanicistica del mondo, e non è un caso se la rivoluzione
informatica, che poggia sulla fisica quantistica, dimostra l'assurdità del
capitalismo. Se l'umanità non vuole inabissarsi, deve superare il riduzionismo
organico e meccanicista e comportarsi in modo umano con se stessa. È soltanto
così che essa potrà intrattenere dei rapporti umani con la natura biologica e
fisica.
Robert Kurz
[Traduzione di Ario Libert]