Rivista IHU On-Line, nº 188, 10.07.2006Università di Vale do Rio dos Sinos, S. Leopoldo, Porto Alegre, Brasil
1. Cosa vuole affermare la "critica radicale del
valore"?
Com'è noto, i marxisti tradizionali del movimento operaio
accusavano il capitalismo soltanto di privare le salariate e i salariati del
famoso plusvalore del quale i proprietari dei mezzi di produzione si
appropriavano come fosse un "potere di disposizione". Questa è una
critica mutilata del capitalismo, che lascia fuori e ontologizza la forma
sociale del valore. Di conseguenza, secondo questo pensiero, la società
socialista postcapitalista dovrebbe continuare a basarsi sulla forma del valore
e a funzionare come un sistema produttore di merci "pianificato".
Come trasformazione della società questa concezione è naufragata. Il problema
può essere spiegato solo storicamente: lo stesso movimento operaio e lo stesso
socialismo statale facevano ancora parte della storia del "modo di
produzione basato sul valore" (Marx). Si trattava di una "lotta per
il riconoscimento" nell'ambito di questa forma di società non indagata.
Ora, il plusvalore può essere soppiantato solo insieme al valore, e non come
pianificazione e "giusta distribuzione" del valore. Questa non è una
questione meramente teorica. Nella nuova crisi del sistema unificato a livello
planetario, lo stesso valore è disvalorizzato dalla terza rivoluzione
industriale, nella misura in cui il "lavoro astratto" si scioglie
come sua sostanza. A queste condizioni occorre criticare e abolire il valore
come forma basica e, di conseguenza, la produzione di merci come tale.
2. Cosa caratterizza una società mercantile? Cosa si deve
intendere per "merce"? Che relazioni proprie stabiliscono le merci?
Il termine "mercantile" si riferisce solo al
comprare e al vendere. Una società mercantile nemmeno esiste. Il capitalismo é
essenzialmente un modo di produzione e non un semplice modo di circolazione.
Perciò l'espressione "economia di mercato" induce in errore. Marx già
dimostrò che la riduzione della modernità a circolazione delle merci
costituisce l'eldorado dell'ideologia capitalista, perché nel mercato appaiono
solo proprietari "eguali" e "liberi" di merci e denaro.
Però la merce ha da essere oggetto di produzione prima di diventare oggetto di
circolazione. Il mercato non è il luogo dell'incontro di soggetti
"liberi", ma essenzialmente la sfera di "realizzazione" del
plusvalore, pertanto della riconversione della forma merce nella forma del
denaro. Si tratta del movimento del valore, del "soggetto automatico"
(Marx), di uno stato di aggregazione verso l'altro. La merce non sussiste per
sé, ma è uno stadio della valorizzazione. E i soggetti del mercato non sono che
gli agenti di questo movimento. Ma la produzione generale delle merci è
possibile solo attraverso la trasformazione della forza lavoro umana in una
merce sui generis, e una forma generale del valore è possibile solo attraverso
il plusvalore come irrazionale fine a se stesso. Esattamente in questo punto si
mostra che la "socializzazione negativa" del capitale non consiste
nell'"appropriazione" soggettiva del plusvalore da parte dei
proprietari giuridici ma nella stessa forma valore, che si rende generale solo
mediante il postulato sistemico del plusvalore. Dietro la "libertà"
formale della circolazione, si incontra la soggezione (originalmente violenta)
degli esseri umani al "lavoro astratto". E' questa la relazione
basica genuina del sistema produttore di merci. E questa relazione é portata
all'assurdo nella terza rivoluzione industriale. Non è solo un problema di
disoccupazione e miseria di massa, ma anche un problema dello stesso capitale,
il quale comincia a perdere la "sostanza" della sua valorizzazione a
causa della sua stessa dinamica.
3. In cosa consiste una "critica radicale" delle
categorie fondamentali del capitalismo, quali valore, lavoro, merce, denaro,
Stato, politica, democrazia e nazione?
La critica del capitalismo fino a oggi non è mai stata una
critica categoriale, ossia, le categorie fondamentali della modernità
produttrice di merci furono viste in maniera affermativa e non critica.
L'ontologizzazione del valore provocò l'ontologizzazione delle sue forme
categoriali di apparenza e rappresentazione. Lo Stato, la politica, la
democrazia e la nazione non furono decodificate come l'"altro lato"
della socializzazione negativa del valore e come parti integranti di questo
valore, ma furono erroneamente intese come categorie di dominio della malvagità
del capitalismo. Ora, l'homo politicus è solamente l'alter ego dell'homo
economicus; si deve demolire insieme al valore anche la sua sfera
politico-democratica. La critica categoriale, però, va più in profondità,
perché il capitalismo non è solo un modo di produzione e un sistema statale di
regolazione (che attualmente, insieme al valore, raggiunge nella
globalizzazione i suoi limiti), ma anche un modo di riproduzione e di vita. In
questo senso, la relazione moderna tra i sessi gioca un ruolo cruciale, perché
tutti i momenti della riproduzione sociale che non sono assorbiti da
"lavoro astratto", valore e Stato e/o politica sono dissociati dalla
socialità ufficiale e delegati alle donne (compiti familiari, educazione dei
figli etc, ma anche - attraversando tutte le sfere – le funzioni sociopsichiche
dell'"empatia" e del "lavoro d'amore" di connotazione
femminile, senza le quali la convivenza sociale non sarebbe possibile nella
concorrenza universale). La relazione di valore e "lavoro astratto"
è, pertanto, allo stesso tempo una relazione di dissociazione tra i sessi, la
quale è tanto essenziale e categoriale quanto lo stesso valore. Anche questa
relazione di dissociazione tra i sessi sta decadendo sotto le condizioni
attuali di crisi, come dimostrano la "confusione dei sessi" e i
processi di barbarizzazione del quotidiano. L'obiettivo della critica del
valore è, pertanto, una società oltre il "lavoro astratto", il
valore, il mercato, lo Stato e la dissociazione tra i sessi. Naturalmente,
questo comporta problemi enormi perché è da secoli che gli esseri umani sono
stati "socializzati dentro" queste categorie e interiorizzandole.
Perciò non esiste un cammino diretto per uscire dall'ordine esistente ma è
necessario un processo di mediazione storica. Mediazione significa che occorre
trovare una nuova relazione tra le lotte immanenti per il denaro, i servizi
statali etc, la resistenza sociale contro l'amministrazione capitalista della
crisi, da un lato, e gli obiettivi della critica categoriale, dall'altro. Si
tratta, in un certo modo, dell'antico problema della relazione tra
"cammino e destino", ma in condizioni nuove e con un modus della
critica interamente differente, più profondo. Qui è inclusa anche la percezione
che non esiste una semplice opposizione a un nemico concepito in modo meramente
esterno ("il capitale"), ma che noi tutte e tutti siamo, anche nel
nostro intimo, "il capitale". Ciò significa che anche all'interno dei
movimenti sociali si danno contraddizioni che occorre risolvere e non ignorare.
Così anche la dissociazione tra i sessi è in atto e deve essere criticata nei
movimenti sociali; per esempio, quando l'onere della crisi è, "come fosse
naturale", scaricato sulle donne e vengono revocate le conquiste del
movimento femminista. Anche ideologie come nazionalismo, razzismo e
antisemitismo permeano le contraddizioni sociali e sono esplicitamente o
implicitamente virulente tra gli "umiliati e offesi" di questo mondo.
La necessaria critica dell'ideologia non deve ritirarsi dietro un predominio
astratto della "questione sociale"; allo stesso modo i contrasti
materiali nella situazione sociale di gruppi diversi (per esempio, dei
migranti, da un lato, e i lavoratori autoctoni che sono in una situazione
precaria, dall'altro) non devono essere sottomessi alla generalità di questa
"questione sociale". Al contrario, le tensioni e le differenze devono
essere supportate e digerite criticamente. Un movimento sociale comune non
sorge come postulato astratto ma solo come risultato di questo confronto. La
teoria della critica radicale del valore e della dissociazione può mostrare,
nel processo di mediazione, un nuovo obiettivo storico e analizzare il terreno
della crisi globale per non perdere di vista, attraverso i distinti movimenti,
lotte sociali, tensioni e differenze, la totalità negativa e dare un
orientamento di "grande respiro". Essa non può però fornire comode
"istruzioni d'uso" come schema per l'azione; tale nozione sarebbe
"falsa immediatezza" (Adorno). Ciò che costituisce la debolezza degli
attuali movimenti sociali è in effetti il fatto che continuano ad essere
aggrappati a concezioni anacronistiche e a fissarsi sulla "falsa
immediatezza".
4. Questa critica radicale è anche una critica della moderna
metafisica reale, dei fondamenti dell'Illuminismo, della vita quotidiana. In
che senso?
La modernità produttrice di merci ha di sé l'idea secondo la
quale avrebbe superato la metafisica. Lo stesso valore però costituisce una
"metafisica reale", una "forma vuota" che non può essere
afferrata dai sensi, che è trascendente in relazione alle necessità sociali e
ai contenuti qualitativi. Il superficiale universalismo di questa forma è, allo
stesso tempo, strutturalmente mascolino (androcentrico), e il soggetto moderno
è, originariamente e nella sua essenza, un soggetto mascolino, bianco e
occidentale. Il valore e il suo soggetto non sorsero solo in un processo
storico "obiettivo", ma allo stesso tempo mediante l'affermazione
ideologica e l'incanalamento della coscienza sociale. Il fondamento di tutte
le teorie e le ideologie moderne è la filosofia dell'Illuminismo, che, come
"madre di tutta la riflessione affermativa" (incluso il marxismo
tradizionale), contribuì sostanzialmente alla formazione del sistema produttore
di merci globale. Perciò la critica del valore e della dissociazione ha bisogno
di includere anche una critica radicale dell'Illuminismo. Non si tratta,
tuttavia, di una critica nel senso del contro-illuminismo conservatore e
dell'antimodernità irrazionale, ma di una critica alle radici del pensiero
moderno, fissato nella metafisica reale del valore. L'Illuminismo contribuì in
varie forme affinché la logica del valore e della dissociazione fosse
interiorizzata dagli esseri umani. Così, esso, non solo propagò un
"disciplinamento" esterno per le esigenze del "lavoro astratto",
ma abbozzò anche un programma per l'"autodisciplinamento" interno
degli individui, che funziona tutt'oggi. Allo stesso tempo esso produsse quella
fissazione ideologica nella circolazione (nel mercato e nei suoi soggetti), che
ha determinato fino a oggi una comprensione erronea della "libertà" e
dell'"uguaglianza" nella stessa sinistra. Infine, esso fiancheggiò
ideologicamente il carattere androcentrico dell'universalismo moderno; la sua
filosofia è strutturalmente "mascolina" e nasconde i momenti dissociati
anche concettualmente e teoricamente. Nell'opera di Foucault si può trovare
materiale abbondante e una riflessione critica riguardo le "macchine di
disciplinamento" costruite nell'Illuminismo. Foucault, però, è rimasto a
metà strada della critica dell'Illuminismo. Nella sua legittima repulsione del
marxismo meccanicistico di partito degli anni sessanta e settanta, egli ha
inteso erroneamente la questione della forma sociale come
"economicismo". Così la sua critica dell'Illuminismo arriva solo a un
concetto positivista dei meccanismi di una "produzione di verità"
contingente, la quale non ha alcuna relazione con la logica del valore e della
dissociazione tra i sessi come formazione sociale storica. Naturalmente, la
critica del valore è anche una critica della vita quotidiana determinata dal valore. L'"astrazione reale" sociale ha raggiunto, nel processo
di modernizzazione capitalista, tutte le sfere della vita, dell'architettura,
dell'estetica e della cultura, fino alle abitudini alimentari (agro-business,
fast food) e alle relazioni personali. La nuova crisi globale accelera la
liberazione dell'"individuo astratto", nel quale, tuttavia, la
dissociazione tra i sessi continua ad essere in atto. Il valore, e la
concorrenza universale a esso associata, penetrano nell'intimità e distruggono
tutti i vincoli. Le persone diventano suscettibili e autoreferenziali; il
carattere narcisista e isterico personale e sociale si dissemina in tutte le
situazioni sociali. L'isterizzazione della società della crisi non si trattiene
nemmeno davanti alla politica, alla scienza, ai gruppi di teoria critica, e
nelle stesse relazioni d'amore e d'amicizia. La denuncia personale e la rottura
personale sostituiscono ovunque la discussione sui contenuti. Sentimenti di
concorrenza, paura dei legami e del "compromesso", disposizione
psicodinamica astratta al conflitto in tutti i sensi e ansia di
"conferma" personale minacciano di sommergere qualsiasi contenuto,
perfino nella stessa critica radicale. Gli stessi contenuti teorici e addirittura
gli stessi sentimenti per gli altri individui non diventano che fiches da gioco
intercambiabili nella "lotta per le posizioni". Gli individui
diventano imprevedibili come il clima e i mercati finanziari. Questa tendenza
sociopsichica è socialmente condizionata e può essere superata soltanto nel
processo di rivoluzione sociale, e non con la pedagogia, né con il controllo
sociale coercitivo dei distillati di progetti neo-utopici di "riforma
della vita". Ciò nonostante, è necessario scoprire come si possa opporre
resistenza a questa tendenza della crisi interna del soggetto dentro i
movimenti sociali e i gruppi di riflessione teorica, per mantenere la capacità
di azione nella critica teorica e pratica delle relazioni in generale.
5. Cosa dobbiamo assumere di Marx e perché è necessario
oltrepassarlo?
L'analisi e l'esposizione di Marx delle leggi interne del
movimento del valore, del "soggetto automatico" della modernità,
continuano a essere il fondamento non oltrepassato e il punto di partenza della
nostra critica. Nella presente crisi mondiale Marx é più attuale che mai. Ciò
che di lui dobbiamo assumere sono appunto quegli aspetti della sua teoria che
furono trascurati, ridotti o taciuti dal marxismo tradizionale del movimento operaio.
Naturalmente, ciò vale soprattutto riguardo la critica del valore, che è
effettivamente presente nel pensiero di Marx, e all'aspetto della sua teoria
della crisi con essa relazionato, che va più a fondo dei dibattiti marxisti
posteriori sul concetto di crisi. Ma anche nello stesso Marx si trovano punti
di connessione per le interpretazioni tradizionali. Perciò la nuova critica del
valore parla di un "duplice Marx". Marx fu, da un lato, un critico
radicale del moderno sistema produttore di merci e, dall'altro, un teorico
positivo della modernizzazione, che egli concepì come "progresso
necessario". Di conseguenza, a ben poco serve mirare, con stile
neo-ortodosso, a scoprire "il vero Marx". Come qualsiasi teoria,
anche la teoria marxiana ha un suo "nucleo temporale" (Adorno). La
riflessione di Marx era molto più in là del suo tempo e tuttavia attecchì
simultaneamente in quel tempo. Questa prigione può essere identificata
principalmente in quattro punti, che costituiscono un nesso interno. In primo luogo,
Marx mantenne il paradigma illuminista della filosofia della storia e della sua
metafisica del "progresso", benché, per un altro aspetto, egli abbia
criticato l'ideologia illuminista dei soggetti "liberi" e
"uguali" della circolazione, così come l'illusione, a essa associata,
della politica (principalmente il giovane Marx). In secondo luogo, Marx
criticò, differentemente dalla maggioranza dei marxisti, il "lavoro
astratto", tuttavia rimanendo ambiguo in questa critica e insistendo su un
concetto universalista, sovrastorico, generale e astratto del
"lavoro"; anche in questo senso si mostra l'eredità ancora non
superata dell'Illuminismo e del protestantismo. In terzo luogo, fu appunto il
Marx "positivo", teorico della modernizzazione, che concepì
erroneamente, nelle forme di una "ontologia del lavoro", la
"classe operaia" e la "lotta di classe" come leve della
liberazione sociale, quando, in realtà, lì si trattava appena
dell'autolegittimazione dei portatori di "lavoro astratto" dentro il
valore, la cui "lotta per il riconoscimento" come soggetti giuridici
e civili nel capitalismo costituiva un movimento di integrazione nella
"gabbia di ferro" (Max Weber) della modernità, il quale escludeva
qualsiasi critica categoriale. Marx, come "duplice Marx", desiderava
collegare la "lotta di classe" alla critica categoriale, sulla base
dell'universale ontologizzato "lavoro"; ma questo non poteva
avvenire, come dimostrò nella pratica lo sviluppo storico della
socialdemocrazia e del movimento operaio. Infine, e in quarto luogo, come
"uomo del secolo XIX", Marx non poteva percepire la dissociazione tra
i sessi come momento essenziale della socializzazione negativa per mezzo del
valore; anche in questo punto, la sua teoria non andò al di là
dell'universalismo androcentrico dell'Illuminismo. Perciò è necessario andare
oltre Marx, non per rigettare la sua teoria critica, ma per trasformarla e
sviluppare una teoria nuova, che vada più lontano e sia all'altezza della crisi
planetaria attuale.
6. In che senso si può affermare che siamo prigionieri/e del
feticismo?
Il concetto di feticismo è parte imprescindibile di quegli
aspetti della teoria marxiana che vengono assunti e ulteriormente sviluppati
dalla critica radicale del valore. Non è un caso che il marxismo tradizionale
non seppe bene cosa fare con la concezione marxiana del feticismo, perché
questo concetto rimette all'"a priori" tacito della relazione
sociale, fuori dalla portata di qualsiasi riflessione positivista, al carattere
trascendentale del "soggetto automatico", che permea tutte le classi
sociali e filtra o forma previamente tutto il pensare e l'agire. Il carattere
feticista della riproduzione sociale significa che gli esseri umani non
plasmano coscientemente la loro relazione sociale e non utilizzano le loro
risorse e le loro capacità mediante un accordo libero; al contrario, sono
sottomessi a un medium da loro stessi prodotto, ma che si è da loro reso
autonomo. Questo medium, che nella modernità é il valore e la sua forma di
apparizione, il denaro, guida la riproduzione sociale secondo una
autoregolazione cieca ("seconda natura"). La concezione moderna della
ragione, che è un prodotto dell'Illuminismo, è completamente limitata a questa
autoregolazione del medium-feticcio; essa contiene soltanto un ragione storicamente
specifica, ritagliata sulla forma della merce e nella sua essenza distruttiva.
L'irrazionalismo moderno rappresentato dalle correnti del contro-Illuminismo
borghese costituisce appena il rovescio di questa ragione ed è un derivato
dello stesso Illuminismo. La critica categoriale, in quanto critica del
feticismo moderno, è una critica del nesso interno tra la ragione moderna e
l'irrazionalismo moderno; essa deve sfociare in una "altra ragione",
pertanto sviluppare una "contro-ragione", contro la ragione feticisticamente
costituita dal sistema produttore di merci. Noi siamo prigionieri del feticismo
nella misura in cui, sotto le condizioni dominanti, la riproduzione di tutta la
nostra vita pratica è alla mercé della "ragione irrazionale" del
feticcio della merce e del capitale. Il robot cieco del "soggetto
automatico" ci obbliga a "lavorare" per il nostro stesso
naufragio. La razionalità dell'economia d'impresa insidia i fondamenti della
vita umana con l'"esternalizzazione" permanentemente dei costi, così
distruggendo la biosfera in misura crescente. Per la stessa ragione, risorse
personali e materiali sono disattivate, indipendentemente dalle necessità
materiali e sociali, appena esse smettono di soddisfare il criterio feticista
della redditività del capitale. Sebbene esistano capacità umane, mezzi di
produzione e conoscenze sufficienti, esse non possono essere utilizzate
liberamente ma sono soggette alle restrizioni della forma sociale feticista. La
produzione di "ricchezza astratta" (Marx) porta all'impoverimento
delle masse. Ciò, tuttavia, non è un antagonismo esteriore degli interessi, ma
gli stessi poveri lavorano anche per il loro stesso impoverimento,
semplicemente articolando le loro necessità materiali e sociali nella forma
sociale del valore, pertanto nella forma del feticismo. Questa contraddizione,
che sempre si intensificava nelle crisi periodiche del capitalismo per poi
essere relativamente superata dai nuovi slanci dell'accumulazione del capitale,
acquisisce una dimensione esistenziale nella crisi globale della terza
rivoluzione industriale perché non si ha più accumulazione reale sostenibile
del capitale. O si rompe il feticismo della forma sociale o la vita della
società sarà "disattivata" in modo quanto mai più catastrofico.
7. Quale sarebbe, secondo la sua opinione, l'aspetto
essenzialmente nuovo del libro di Anselm Jappe "Le avventure della merce:
per una nuova critica del valore", pubblicato in portoghese?
Nel suo libro, Anselm Jappe riassume per la prima volta
sistematicamente i risultati della critica radicale del valore fino alla fine
degli anni novanta, che erano sparsi in molte pubblicazioni singole; e lo fa in
una sintesi completamente autonoma, attenendosi al processo in cui la critica
del valore fu originariamente elaborata, a partire dal marxismo tradizionale.
Si potrebbe dire perciò che si tratta di una "introduzione alla critica
del valore per marxisti", che la facilita a tutte le persone ancora
confuse nel paradigma tradizionale della critica del capitalismo, ricostruendo
al meglio l'andamento dell'argomentazione della critica del valore, così che se
ne approprino. Poiché questo processo non avviene solo in un'unica volta,
stando quindi chiuso, ma si ripete nel caso dei molti individui interessati
alla critica radicale della società, e in maniera sempre nuova, in nuove
costellazioni, continuando la stessa teoria critica del valore e della
dissociazione a svilupparsi sempre. Questa esposizione sistematica è utile
anche per le generazioni più giovani che non conoscono il marxismo degli anni
settanta; permette a queste persone più giovani di leggere la teoria di Marx
già con i nuovi occhi della critica del valore e, per così dire, lasciare al
lato la comprensione tradizionale che si è intanto resa obsoleta. Così i
concetti del valore come "astrazione reale", "feticismo" e
"ricchezza astratta", la critica del falso universalismo del
"lavoro", la nuova teoria della crisi della critica del valore e la
"metafisica reale" del moderno sistema produttore di merci sono
presentati e fondati con molta chiarezza. La teoria della dissociazione tra i
sessi, la critica del soggetto mascolino, bianco e occidentale e la critica
dell'Illuminismo sono inseriti nel libro solo perifericamente; ma questi
aspetti saranno spiegati ed esposti con più dettaglio in un prossimo progetto
che ha come titolo provvisorio "Le avventure del soggetto".
Importante nel libro di Anselm Jappe é anche il capitolo finale, in cui egli si
confronta con i "falsi amici". In questo modo, Jappe critica la
critica ridotta del capitalismo, presente nel movimento antiglobalizzazione e
nei suoi "forum sociali", la quale riduce la relazione del capitale
alla sua attuale fenomenologia "neoliberale" e in fondo chiede solo
di tornare alle forme di regolazione keynesiana (o alle idee socialiste tradizionali).
Egli inoltre si confronta con le concezioni neo-utopiche di uno "scambio
senza denaro" che sono divulgate (in parte ricorrendo ai lavori di Marcel
Mauss sul "dono" nelle società premoderne) nelle idee sulle
"cooperative libere" e nel movimento del "software libero".
In queste si concepisce il capitalismo ancora erroneamente come semplice modo
di circolazione o "economia di mercato"; si tratta di idee
insufficienti riguardo una circolazione senza forma merce, che potrebbero
perfino essere strumentalmente promosse da parte dell'amministrazione della
crisi, nei termini di un incremento delle sussistenze economiche in forma di
nicchie dell'"economia informale". Infine, Jappe critica anche
l'ideologia del post-operaismo di Michael Hardt e Antonio Negri, che ha
acquisito preminenza negli ultimi anni e che, con i suoi concetti di
"lavoro immateriale" e "moltitudine", non perviene ad
alcuna critica categoriale e appare, con abiti post-moderni, come
"l'ultima mascherata del marxismo tradizionale" (Jappe). Tali
critiche sono necessarie, poiché così come la critica radicale del valore e
della dissociazione non sono sorte nella torre d'avorio teorica, ma, in un
certo modo, nel "corpo a corpo" della lotta teorica per una nuova
comprensione della critica, la stessa critica si deve confermare costantemente
e sempre di nuovo in questo "corpo a corpo"; il processo di
formazione della teoria può avanzare solo nel confronto (anche polemico).
8. Il libro invita a "ricercare la stanza nella quale
sono custoditi i segreti da cui dipende l'umanità intera". Che segreti
sono questi e che stanza è questa, dunque?
Anselm Jappe ha scelto la bella metafora della "stanza
proibita" del mondo dei racconti delle fate dove sono custoditi i
"segreti" che non devono essere conosciuti. Questa stanza non è altro
che il luogo della riflessione critica, che si trova oltre il pensare e agire
quotidiani nel mondo preformato dal capitalismo. E i segreti consistono nella
costituzione di questo mondo, nell'"a priori tacito" delle relazioni,
pertanto nei presupposti che nel corso di un processo storico furono
interiorizzati come se fossero "evidenti" e paiono esser dati dalla
natura, benché furono fatti proprio dagli esseri umani – ma, in un certo modo,
stando ciechi e senza coscienza "sopra" questo agire. Si tratta, in
altre parole, di quel feticismo che determina il pensare e l'agire e che non
appare più come risultato di uno sviluppo che potrebbe anche essere superato,
ma come ontologia non oltrepassabile. In misura tale per cui si può dire che la
critica sociale tradizionale ancora non ha osato penetrare nella "stanza
proibita" e toccare quei segreti. Ciò interessa anche la teoria della
storia, poiché le società premoderne (agrarie) non avevano, così come non ha la
modernità, una relazione cosciente, diretta con se stesse, con le loro stesse
possibilità e risorse. Anche esse erano comandate da medium costituiti
feticisticamente, solo che da altri medium e in altro modo. Quello che è il
valore nella modernità era Dio nella premodernità. Quello che nella modernità è
il mezzo "oggettivato" e metafisicamente caricato dalla merce e dal
denaro, nella premodernità erano individui metafisicamente caricati come
rappresentanti di Dio. Il valore non è Dio, e il capitalismo non è la continuazione
della religione con altri mezzi, come per esempio pretende Walter Benjamin. Si
tratta più di una costituzione storica totalmente nuova. Tra i due mondi si
aprono abissi, dopo una profonda rottura storica. Tuttavia, la critica radicale
può riconoscere un momento negativo di continuità, cioè quell'incoscienza in
relazione a un "a priori tacito" (che è caso per caso del tutto
differente) della vita sociale e della riproduzione, che designiamo
generalmente come relazione di feticcio. In questo senso la critica radicale
del valore parla di una "storia delle relazioni feticiste".
Naturalmente, questo concetto della teoria della storia é esso stesso
inevitabilmente un concetto moderno, perché non possiamo saltar fuori dalla
nostra collocazione nella storia. Tuttavia, ciò costituisce un'aporia
necessaria alla quale tutta la riflessione sulla teoria della storia è
necessariamente soggetta. Al contrario però della moderna filosofia classica
della storia dopo Hegel, della quale anche il "materialismo storico"
marxista fa parte, la teoria della storia della critica del valore e della
dissociazione non è più una teoria positiva nel senso di una metafisica del
"progresso" ontologicamente ancorata, che accentua unilateralmente il
momento "della storia universale" della continuità, ma una teoria
negativa, che permette una dialettica di continuità e discontinuità. Vediamo la
storia inesorabilmente con occhi moderni, ma con gli occhi della critica a
questa storia anziché con gli occhi dell'affermazione. Questa critica va oltre
la tradizionale teoria marxista della storia, che ancora presupponeva
l'esistenza di un continuum positivo di "lavoro" e
"progresso" e, così, prolungava la filosofia borghese della storia.
Il concetto negativo di una "storia delle relazioni di feticcio"
implica, al contrario, una "rottura ontologica" con tutta la storia
anteriore, perché con il superamento della relazione moderna del valore e della
dissociazione si supera il feticismo in generale. Solo così si comprende
l'affermazione marxiana secondo cui la fine del capitalismo è simultaneamente
la "fine della preistoria". Nella teoria della storia della critica
del valore e della dissociazione è contenuta così una "eccedenza
critica" che produce il necessario impulso per la rottura con la falsa
ontologia della modernità. Sebbene la teoria borghese della storia, che si
estende alla postmodernità, abbia nel frattempo essa stessa criticato il
continuum di una positiva "storia universale del progresso", essa lo
ha fatto solo in un processo di decadenza teorica, in cui si accentua la
discontinuità in maniera tanto unilaterale e non-dialettica quanto prima
accentuava la continuità. La "metafisica del progresso" è stata
sostituita solo con una "metafisica della contingenza" (e di mera
discontinuità) di carattere inverso, che, é chiaro, è dovuta effettivamente
dallo sguardo moderno e che è completamente affermativa. Comunque, questa
affermazione avviene sotto il punto di vista della crisi, e non più sotto il
punto di vista dell'ascesa storica della modernità. Dietro l'apparenza di una
"metafisica della contingenza" è appostata un'ontologia rigida e
astorica, per esempio l'ontologia del "potere" nel pensiero di
Foucault, mutuata dall'"ideologia tedesca", da Nietzsche a Heidegger.
Così non si giunge a un "eccesso critico" nel senso di una
"rottura ontologica", e con ciò in ultima analisi si perde anche di
vista la relazione di feticcio specifica della storia della modernità.
9. Le idee di Guy Debord sulla società dello spettacolo sono
ancora attuali?
Sono perfino più attuali che mai. Debord, nel suo tempo,
tenne in vista principalmente il mezzo "spettacolare" televisivo
constatando uno sviluppo del moderno feticismo giunto a un "grado di
accumulazione del capitale" in cui esso "diventa immagine" e
sostituisce interamente il "mondo sensoriale" con una "selezione
delle immagini". Ciò naturalmente non si riferisce solo alla semplice
tecnologia mediale ma a una nuova qualità della "sussunzione reale al
capitale" (Marx), una sussunzione non solo dei processi di produzione, ma
della totalità della vita e della totalità dell'esperienza, a una
feticizzazione di tutte le relazioni fino all'intimità, come sopra ho già
suggerito, come soggezione di tutte le sfere della vita alla "astrazione
reale" del valore e come liberazione dell'"individuo astratto".
A ciò corrisponde una "medializzazione del quotidiano" in cui i mezzi
tecnici di comunicazione non si autonomizzano per sé, ma nel loro carattere
inscritto nella merce e, in un certo modo, duplicano il feticismo della forma
merce. Questo sviluppo si è drammaticamente intensificato con le nuove
tecnologie della comunicazione della terza rivoluzione industriale. Ora, non si
tratta soltanto di cruda tecnica, ma di una "virtualizzazione"
generale del mondo della vita, come si può vedere nell'onnipresenza del
telemobile, SMS etc. e soprattutto di Internet. Ciò va di pari passo con la
virtualità del nuovo capitalismo finanziario, che si è staccato
dall'accumulazione reale del capitale, come fenomeno di crisi. Nel
"virtualismo" del pensiero postmoderno, tutto questo processo è stato
ideologizzato e parzialmente compreso male come emancipazione. Ma non é altro
se non un'espressione della crisi del soggetto nella quale si riproduce come
fenomeno della coscienza il limite interno del moderno sistema produttore di
merci. Si può per esempio osservare come, mediante la comunicazione per
corrispondenza elettronica in gruppi di ogni specie, sono "cucinati"
conflitti in modo incredibilmente rapido e irriflessivo e con frequenza ogni
volta maggiore, perché la conversazione è appena simulata e nemmeno esiste un
interlocutore reale, con il quale le persone vengono a coinvolgersi. Tutte le
conversazioni sono solo soliloqui. Individualizzazione, mediatizzazione e
virtualizzazione nella forma feticizzata del valore costituiscono così un'unità
negativa, nella quale l'inflazione dei sistemi comunicazione contribuisce
all'isolamento autoreferenziale degli individui.
10. Esistono attualmente relazioni tra la società dello
spettacolo e le avventure della merce?
La società dello spettacolo "è" l'avventura della
merce nello stadio della sua obsolescenza storica. In Debord, che può essere
considerato precursore della critica radicale del valore, tuttavia ancora non
si trova un concetto nuovo della crisi, che appare solo nel solco della terza
rivoluzione industriale. Egli comprende male la medializzazione e la
virtualizzazione, in quanto "nuovo
grado di accumulazione", mentre queste, in realtà, vanno di pari passo con
la reale "desostanzializzazione" e disvalorizzazione del valore. A
ciò si associa la crisi della relazione della dissociazione tra i sessi e della
"lotta di classe" tradizionale; anche di questo Debord ancora non ha
nozione. Ciò che costituisce la dialettica paradossale della società del valore
e della dissociazione che si è tramutata in spettacolo è il fatto che il
compimento e la liberazione dell'individualità astratta sono identici allo
svuotamento del valore e al limite assoluto dell'accumulazione. Gli individui
sono tanto più soggetti del valore quanto più cessano di potere essere soggetti
del "lavoro". Da ciò risulta un'enorme tensione, che si scarica in
forme di comportamento distruttive e avvelena sempre di più il quotidiano. La
critica radicale del valore e della dissociazione tra i sessi deve imparare a
lottare con questa tensione per non perdersi essa stessa nel gorgo della crisi
spettacolare.
Originale Robert Kurz: Interview mit Sonia Montaño,
IHU-Online-Zeitschrift, Universidade do Vale do Rio dos Sinos (Brasilien),
3.7.2006
traduzione by lpz