lunedì 6 aprile 2015

Ucraina – La dualità del nazionalismo e il collasso dello Stato



Gerd Bedszent





Testo completato nel settembre 2014  che affronta la genesi dello scoppio della guerra civile e quindi consente un’interpretazione più adeguata del cosiddetto “conflitto Russia-Ucraina” rispetto a quella in voga nei media occidentali, da un lato, e in parti della sinistra, dall’altro. (Presentazione sulla rivista EXIT! nº 12)




Negli ultimi mesi si è stati letteralmente sommersi da notizie sugli avvenimenti nell’Europa dell’est. Quella che nell’autunno 2013 è cominciata in Ucraina come rissa del tutto abituale tra le diverse fazioni di una classe superiore più o meno criminale si è in breve sviluppata in una pesante guerra di smantellamento dello Stato.

Un tale sviluppo non rappresenta nulla di nuovo – nemmeno in Europa. Già vent’anni fa il collasso economico della Jugoslavia sfociò in tutta una serie di guerre tra bande nazionaliste o apertamente criminali che dominavano ognuna una delle regioni. L’intervento militare occidentale in Bosnia e Kossovo finì per instaurare in questi territori pseudo-statali una repressiva amministrazione della povertà – con un unico ramo economico in espansione: l’economia del crimine. 

Simile scenario si presenta adesso in Ucraina. Anche qui, con la copertura di un progetto di modernizzazione in ritardo, furono compresse nella Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina (1922-1991) le varie parti molto differenti del Paese. E così come nel caso della Jugoslavia gli attori di un “regime di modernizzazione protocapitalista” (Robert Kurz) non riuscirono a risolvere le sproporzioni in termini di economia nazionale tra ognuna delle parti del Paese. In questo caso con in più la particolarità che lo Stato ucraino, proclamato indipendente nel 1991, era il prodotto soprattutto del collasso statale dell’Unione Sovietica. 

Nelle regioni frontaliere orientali dell’Ucraina permangono ancora, dal crack economico d’inizio anni ’90, resti della vecchia industria pesante sovietica, che hanno tratto beneficio soprattutto dalla vicinanza alla Russia. L’Ucraina continua a essere uno dei principali fornitori dell’industria bellica e dell’industria spaziale russe. Nelle regioni frontaliere occidentali, che in generale si integrarono nell’Ucraina solo tra il 1939 e il 1945, il progetto della modernizzazione in ritardo non ha mai superato gli inizi. Queste regioni erano molto più fortemente caratterizzate dall’economia agraria e sono cadute in un rapido processo di impoverimento con la dissoluzione delle cooperative agricole post-sovietiche. La produzione agricola ucraina è parsa di fatto recuperare negli ultimi anni, dopo il crack degli anni '90 – ma solo alle condizioni di una violenta razionalizzazione imprenditoriale capitalistica e con la massiccia soppressione della forza lavoro ad essa associata. 

Dal continuo declino economico agricolo e dalle furiose lotte per la spartizione nelle città, tra la nomenclatura post-sovietica arricchita e il sottomondo criminale di fatto legalizzato a partire dal 1991, è risultato il crescente collasso delle istituzioni statali e l'ascesa simultanea delle milizie della destra radicale. Queste ultime si sono coscientemente inserite nella tradizione di quei gruppi armati che tra il 1918 e il 1922 tentarono di instaurare uno Stato indipendente sia ad est che ad ovest dell’Ucraina e che nella II Guerra Mondiale, dietro vaghe promesse di un'indipendenza futura, effettuarono per l’occupante tedesco il lavoro sporco negli omicidi di massa antisemiti. 

L’isteria che da mesi attraversa i media su una ripresa della guerra fredda manca naturalmente di qualsiasi fondamento. Il conflitto tra la Russia e le potenze occidentali non poggia su nessuna base ideologica non essendo altro che una guerra economica neoimperialista perfettamente normale. L’ex ufficiale del KGB Vladimir Putin non rappresenta una reincarnazione di Lenin o di Stalin, ma è solo un rappresentante tipico degli interessi del vecchio ceto di funzionari arricchitisi dopo il crollo politico e le seguenti orge di privatizzazione. Il fatto che Putin, contro la resistenza di parti della classe oligarchica post-sovietica, sia riuscito a sospendere provvisoriamente il collasso statale della Russia, diventato lampante verso la fine degli anni ’90, e a stabilizzare lo Stato, naturalmente su di un basso livello, attesta realmente delle sue qualità politiche. Ma sul lungo periodo queste qualità non servono a molto. Ciò perché il nuovo modello economico della Russia non si basa su un programma di modernizzazione autonomo ma in primo luogo sull’esportazione delle materie prime verso i centri ancora funzionanti della produzione capitalistica di merci. Putin finanzia il bilancio dello Stato, in modo considerevole, con i proventi percepiti dal conglomerato Gazprom, maggiormente di proprietà dello Stato. La Russia è attualmente il maggiore esportatore mondiale di gas naturale e il secondo maggiore esportatore di petrolio; il prezzo d’esportazione di petrolio e gas russi è varie volte superiore al prezzo imposto all’interno del Paese. La Gazprom funziona dunque come il motore di un miracolo economico temporaneo; la Russia è di fatto un conglomerato petrolifero con uno Stato annesso. 

Sebbene la caduta galoppante nella povertà della popolazione russa sia stata provvisoriamente fermata dall’avvento al potere di Putin e dalla sua politica dei prezzi alti d’esportazione delle materie prime, le disparità sociali si sono aggravate sempre di più. Attualmente ci sono, solo a Mosca, più miliardari che in tutta la Germania. Un’idealizzazione del regime di Putin, come quella fatta attualmente da parte della sinistra residua, è dunque molto discutibile. 

Mentre i paesi occidentali si possono agevolmente difendere dai prezzi alti imposti dalla Russia, gli Stati vicini impoveriti dell’Europa Orientale e dell’Asia Centrale sono più o meno alla sua mercé. Ne è un esempio l’Ucraina, i cui resti dell’economia sono fortemente dipendenti dal gas naturale russo. Se negli anni ’90 gli oligarchi ucraini ancora acquisivano grandi fortune come intermediari nella negoziazione di gas russo a prezzo ribassato, dieci anni dopo lo Stato ucraino si è visto costretto a sovvenzionare il gas usato come combustibile dalla popolazione, soprattutto in inverno. 

L’instabilità politica e il frequente cambiamento dei governi  degli ultimi anni  in Ucraina hanno al dunque la loro causa nelle lotte di potere dei diversi gruppi di oligarchi. Alcuni di essi, per far fronte all’imposizione dei prezzi della Russia, hanno fatto sforzi  nella direzione di un avvicinamento politico ed economico alla UE, accettando così la resa del resto dell’industria ucraina alla superiore concorrenza occidentale. Altri gruppi hanno mirato a proseguire, quale male minore, i contatti economici con la Russia risalenti ai tempi sovietici. Poiché si tratta di una scelta tra peste e colera nessuno di questi gruppi è riuscito a imporsi sostenibilmente. La popolazione si è sempre di più impoverita, il debito dello Stato si è minacciosamente approssimato all’insolvenza, le differenti parti del Paese si sono sempre di più distaccate e la destra radicale si è rafforzata, soprattutto nell’Ucraina occidentale. 

L’Occidente persegue in Ucraina interessi perfettamente differenti. Per gli Usa in decadenza l’Ucraina è una semplice pedina nella scacchiera della sua guerra economica con l’industria petrolifera russa concorrente. L’Unione Europea, al contrario, è interessata ad appoggiare l’Ucraina in quanto fornitrice di prodotti agricoli a buon mercato. Qui si nasconde sistematicamente il fatto che ciò può soltanto accelerare il collasso economico dell’Ucraina e il processo di crollo dell’Unione Europea che ormai non può più essere ignorato, come mostrano le esperienze di altri Stati dell’Europa dell’est. I negoziati del regime di Janukowitsch per la conclusione di un accordo di partenariato con l’Unione Europea hanno finito per fallire alla fine del 2013, poiché il governo ucraino, di fatto insolvente, ormai non era più in grado di sopportare i costi di applicazione dell’accordo e la burocrazia dell’Unione Europea non aveva alcuna volontà di farlo. La cosiddetta opposizione democratica supportata finanziariamente dall’Occidente, sentendosi ingannata, si è allora alleata con l’estrema destra e ha preteso un cambio di regime. In questo modo sono stati pre-programmati la guerra civile e il crollo dello Stato.

L’isteria mediatica di fronte all’annessione della Crimea da parte della Russia e la conseguente guerra civile nelle regioni frontaliere orientali può essere spiegata solo con l’incapacità di percepire il generale crollo dell’Ucraina. In ogni caso la “riunificazione della terra russa”, mediaticamente appoggiata dall’amministrazione Putin, non va oltre il puro nonsense. L’annessione di tutta l’Ucraina significherebbe in primo luogo per la Russia aggravarsi di un onere finanziario che non potrebbe sopportare, pena il rischio del proprio stesso collasso. L’occupazione della penisola del Mar Nero è stata piuttosto la conseguenza di considerazioni pratiche: la Russia usa il fondo del Mar Nero per il trasporto, mediante condutture del gas naturale verso l’Europa del sud e il medio oriente, e ha approfittato senza indugi dell’assenza di un governo ucraino in funzione per annettersi la Crimea quale importante punto strategico di supporto alla flotta che garantisce sicurezza a questa linea. Inoltre c’è da supporre che la Russia intenda approfittare dell’opportunità di assicurarsi i giacimenti di gas naturale che si presume esistano nella costa della Crimea. 

Lo stato in cui intanto versano le istituzioni dell’Ucraina si può ben valutare col fatto che le forze di sicurezza ucraine stazionate in Crimea non hanno opposto effettivamente quasi nessuna resistenza all’annessione della penisola del Mar Nero e che inoltre la Russia si è potuta appropriare senza lotta di quasi tutta la marina militare ucraina. Gran parte dei soldati ucraini sono immediatamente passati alle forze armate russe  soddisfatti di tornare finalmente a poter contare sulla regolare paga di un salario. La maggioranza della popolazione della Crimea, disperatamente impoverita – qualunque sia l’origine etnica –, ha accolto con il benvenuto l'invasore sperando in un rapido miglioramento della situazione. Il giubilo, tuttavia, ha lasciato il posto alla disillusione. Il che era da prevedere – in fin dei conti gli abitanti della penisola hanno scambiato soltanto un regime oligarchico fallito per un altro soltanto meno fallito.

Il fatto che, infine, anche in due regioni frontaliere orientali attivisti pro-russi abbiano preso il potere, proclamando prima l’indipendenza statale come “repubblica popolare” e poi l’annessione alla Russia, si è rivelato un’impresa tanto assurda quanto prevedibile. La Russia non si è impegnata fino a ora in alcun serio sforzo per incorporare le parti slegate del Paese vicino, ma ha preteso una “regionalizzazione” dell’Ucraina – ossia, in realtà, una divisione dell’Ucraina in sfere di interesse economico. Ciò che tuttavia l’Occidente non ha ancora voluto accettare.

Ormai dall’inizio della guerra civile l’Ucraina non dispone più né di un esercito né di una polizia operativi. Un ufficiale ucraino rimasto anonimo, per esempio, ha spiegato a un giornale tedesco che sarebbe scomparso un reggimento di tank con equipaggiamento moderno poiché qualcuno avrebbe venduto segretamente i carri armati a un regime arabo. Unità di polizia hanno rifiutato di accettare ordini per entrare in azione contro i ribelli; truppe inviate con urgenza nella regione si sono lasciate disarmare dai contadini in protesta. In diverse città dell’est dell’Ucraina, invece dell'autorità di uno Stato che non funziona più, esercitano a volte il potere imprese private di sicurezza in missione al servizio degli oligarchi ucraini. Altri oligarchi finanziano “unità di volontari” della destra radicale, creando così un proprio piccolo esercito privato. 

Il governo ha finito per arruolare nella “Guardia Nazionale” sempre più milizie della destra radicale inviandole verso le regioni in sollevazione. Questo ovviamente anche con il secondo fine di tenere lontano dalle immediate vicinanze della capitale, sede del governo, il nucleo attivo dei nazionalisti i quali agiscono in maniera sempre più irrazionale. E dal momento che l’apparato di Stato al collasso non era più in grado di farlo, le bande di mercenari assassini e predatori sono state essenzialmente armate e pagate dagli oligarchi vicini al governo. La prevedibile conseguenza è stata che queste unità della Guardia Nazionale hanno cominciato ad agire sempre più fuori dal controllo del regime. Di fronte all’avidità di arricchimento degli oligarchi attualmente dominanti in Kiev, che non è stata certamente frenata dalla guerra civile – una gran parte degli aiuti militari occidentali non ha mai raggiunto il fronte ma è atterrata direttamente sul mercato nero –, i radicali di destra armati minacciano ormai di marciare su Kiev e di instaurare un governo militare. 

È stato provato che diversi battaglioni della Guardia Nazionale e altre unità di volontari marciano sfacciatamente con la croce uncinata e altri simboli fascisti, e che si vantano di fronte ai giornalisti occidentali del fatto che il loro vero obiettivo è la conquista di Mosca. Il che, di fronte al reale rapporto di forze militari, si spiega solo come grave megalomania.

Sulla situazione in entrambe le "repubbliche popolari" dell’Ucraina orientale ci sono poche informazioni affidabili. Certo è che la ribellione a Kiev, con pogrom sanguinari contro i sostenitori del deposto presidente Janukowitsch e contro i comunisti e altri membri delle organizzazioni di sinistra, è stata appoggiata - nella città costiera di Odessa, per esempio, una folla della destra radicale, con la connivenza della polizia, ha incendiato un edificio del sindacato e massacrato quelli che fuggivano dalle fiamme. Con le molteplici minacce alla vita e all'integrità fisica le persone sono fuggite verso le regioni di confine orientale dove sono rimaste relativamente al sicuro fino allo scoppio della guerra civile.

La leadership delle due “repubbliche popolari” – se così si può dire – è di conseguenza un grossolano conglomerato di nostalgici dei sovietici, radicali di destra russi e funzionari amministrativi che agiscono pragmaticamente. Nella costituzione della “Repubblica Popolare del Donetz”, per esempio, sono stabiliti sia il mantenimento delle norme dello stato sociale sia l’appartenenza alla chiesa ortodossa.

Il colonnello-generale ucraino Wladimir Ruban, certamente non sospettabile di simpatie filorusse, ha per esempio dichiarato il 20 Agosto in un’intervista a Ukrainskaja Prawda che i due lati quasi non si distinguono ideologicamente tra loro – uno dei rari casi in cui un militare in gioco mantiene una visione chiara di fronte allo scatenarsi massiccio della paranoia nazionalista. 

Ora, è necessario in primo luogo opporsi all’idealizzazione, promossa da gran parte della sinistra residua, delle milizie che appoggiano entrambe le “repubbliche popolari” ucraine dell’est. Per esempio, le unità di cosacchi che combattono al fianco degli insorti hanno acquistato una miserabile reputazione già prima della deflagrazione della guerra civile con pogrom contro le minoranze non slave. Se nei battaglioni della Guardia Nazionale hanno combattuto fin dall’inizio radicali di destra svedesi e italiani in nome dell’Ucraina, le milizie degli insorti hanno ricevuto la rapida affluenza dei radicali di destra russi e francesi.

La guerra civile nell’est dell’Ucraina non costituisce – come piace scrivere soprattutto alla stampa russa – una riedizione della Guerra Civile della Spagna del ’36-’38 o della guerra civile antifascista del ’41-’45, ma piuttosto una guerra per lo smantellamento dello Stato che si esprime in lotte per la spartizione tra gruppi etnici diventati nemici. Si saccheggia e si assassina da entrambi i lati. L’ordine statale, ormai solo rudimentale nel territorio di entrambe le “repubbliche popolari”, costituisce la base ideale per un’intera ondata di economia del furto: saccheggio, estorsione, sequestro e omicidio. 

Il brutale procedimento della Guardia Nazionale e dei resti dell’esercito nazionale che l’appoggiava ha condotto fin dall’inizio a una pulizia etnica della popolazione di lingua russa nell’est dell’Ucraina. Alle città controllate dagli insorti sono state tagliate la fornitura di energia e di acqua potabile con colpi accurati da parte delle truppe governative che le assediavano, per poi indebolirle con il fuoco dell’artiglieria pesante. Nelle regioni recuperate dai militari di Kiev non c’erano quasi più residenti. Centinaia di migliaia di ucraini sono fuggiti verso il Paese vicino – nelle regioni russe di frontiera si è dovuto dichiarare lo stato d’emergenza. Dopo il crollo della società ferroviaria ci sono state colonne di rifugiati in fuga verso l’est bombardate dalla stessa aviazione ucraina. 

La guerra civile nel paese vicino ha inciso direttamente sugli interessi russi almeno dall’agosto del 2014. E’ vero che, per fortuna, non si trova nessuno dei 17 reattori nucleari ucraini (senza contare i quattro relitti di Chernobyl) nelle regioni in disputa. Tuttavia la direzione della grande azienda chimica ucraina Styrol ha inviato un disperato appello di aiuto alla leadership militare di Kiev per interrompere immediatamente il bombardamento nel sito aziendale – un’esplosione dei suoi impianti minaccia una catastrofe ambientale in tutto il Paese. E’ questo incidente che ha forse portato il governo russo a sostenere poi davvero le attività di entrambe le "repubbliche popolari", inizialmente appena solo tollerate. Con la conseguente rapida modifica dei rapporti di forza. Le truppe di Kiev hanno subito tutta una serie di pesanti sconfitte – vari battaglioni della Guardia Nazionale sono stati accerchiati e annichiliti. Nell’esercito regolare, costituito in gran parte grazie al servizio militare obbligatorio, sono aumentati i segnali di disintegrazione. Intere unità hanno disertato il fronte o sono fuggite verso la zona russa chiedendo asilo politico. Le truppe in ritirata sono state spesso bombardate dai volontari della destra radicale e costrette a invertire la marcia. 

I tentativi da parte del governo di Kiev di superare la crisi si sono limitati  a grida di aiuto sempre più disperate rivolte all'Europa occidentale. Che l'Occidente non voglia né sia in grado di offrire rassicurazioni ai resti al collasso del progetto di modernizzazione dell’Europa orientale è un fatto che ovviamente non entra in testa agli oligarchi ucraini. Solo così si può spiegare la reazione del tutto irrazionale dell’ex banchiere e attuale primo ministro Jazenjuk: quando la sconfitta militare era ormai evidente e si stringeva l'assedio delle milizie russe intorno al resto delle truppe del governo asserragliate nella città di Mariupol egli ha annunciato che l'Ucraina si sarebbe separata dal vicino paese orientale attraverso la costruzione di un "muro". Una notizia che è stata ricevuta dalle redazioni dei giornali occidentali scuotendo la testa, ma che se poi è stata poco divulgata. Il fatto incontestabile che queste regioni di confine non sono ormai più sotto il controllo del governo e che inoltre lo Stato in bancarotta non riuscirebbe mai coi propri mezzi finanziari a realizzare una fortificazione di più di 2.000 chilometri non sono stati commentati. Per non parlare del fatto che l'isolamento economico della Russia sarebbe la fine per le regioni di confine già ora in gran parte rovinate.

Non si sa quante vite umane sia finora costata la guerra civile nell’Ucraina orientale. L’ultimo numero conosciuto di 2.000 morti dev’essere considerato sicuramente molto basso. Qui non sarà necessario sottolineare che l’attuale tregua militare, comunque spesso interrotta, tra le truppe di Kiev e le milizie delle due “repubbliche popolari” non può modificare minimamente il disastro dell’Ucraina. I danni enormi, proprio nell’est, in qualche modo ancora economicamente stabile, dovrà accelerare una maggiore deindustrializzazione del paese già impoverito. Difficilmente si può immaginare che gli oligarchi ucraini siano inclini a rimettere in movimento gli impianti produttivi distrutti con il denaro che hanno rubato. E ancor meno che qualche impresa occidentale effettui investimenti significativi in una regione instabile e lacerata dalla guerra civile. 

Un’ironia della storia è che gli Stati e le istituzioni occidentali durante la guerra civile si sono prestati a supportare il regime di Poroschenko da essi instaurato con crediti di milioni di miliardi - gli stessi crediti che avevano prima rifiutato al regime Janukowitsch. Ma questo denaro difficilmente potrà contribuire ad una stabilizzazione sostenibile dell'Ucraina; esso deve essere trasferito immediatamente al servizio del debito o per i buchi di bilancio aperti con la guerra civile. Quel che l'Occidente in fin dei conti promuove per l'Ucraina è il saccheggio del progetto fallito di modernizzazione. La promozione dell’infrastruttura necessaria a questo saccheggio organizzato può anche integrare temporaneamente una minoranza di persone che lì vivono ma non la maggioranza della popolazione. Quindi è solo una questione di tempo prima che arrivi un nuovo crollo dell’Ucraina.

Il governo di Kiev è riuscito soltanto a mantenere a sé le regioni da esso controllate attraverso una furiosa politica di tagli sociali, riduzioni dei salari, soppressione dei posti di lavoro nei servizi pubblici e predazione fiscale della propria popolazione. La resistenza contro questo deve muoversi entro stretti limiti poiché all'ombra della guerra civile molti cambiamenti legislativi sono stati realizzati rapidamente: l'Ucraina ha attualmente una delle legislazioni più repressive d'Europa; la polizia, per esempio, può arbitrariamente detenere chiunque sia sospettato per 30 giorni senza una decisione giudiziaria. 

Al di là di tutto questo, la caduta del regime di Janukowitsch ha scatenato tutta un’onda di criminose lotte di distribuzione. Sotto la pressione di bande armate, che nella maggior parte delle città esercitano di fatto il potere, in seguito alla dissoluzione progressiva della polizia, funzionari di giustizia agendo formalmente in nome dello Stato di diritto legittimano atti di puro furto. Molti oligarchi, che nella distribuzione dei posti di governo hanno ottenuto troppo poco, sono arrivati a costruire, appoggiati dalle milizie da essi stessi finanziate, un apparato di potere nelle regioni più lontane e agiscono sempre più fuori dal controllo del governo centrale. 

La fornitura di gas naturale dalla Russia al vicino occidentale è stata interrotta perché il governo ucraino si è  finora rifiutato di pagare gli importi richiesti ammontanti a migliaia di milioni di vecchi debiti. I distributori occidentali di energia, che cercano rapidamente sostituti, continuano con pre-pagamenti, data la situazione economica del loro partner commerciale. La popolazione ucraina dovrà ora affrontare un inverno molto freddo.

E’ preoccupante la retorica bellicista scatenata dai media occidentali negli ultimi mesi e non solo. Questi per molto tempo hanno negato insistentemente l’esistenza di bande nazionaliste armate e apertamente antisemite in Ucraina, classificando questa informazione come menzogna della propaganda russa, oppure presentandola come un male necessario. Il collasso economico, che si diffonde anche nei centri capitalisti, produce ovviamente il rinascimento del pensiero della destra radicale, fino all’accettazione dell’antisemitismo aperto. 

Ora, come andrà a evolversi lo Stato europeo orientale in disfacimento? Sicuramente una riedizione della dittatura fascista classica, temuta da una parte della sinistra marxista tradizionale, non potrà esserci. La “formazione coercitiva fordista del nazionalsocialismo” (Robert Kurz), come via specifica della modernizzazione in ritardo, è legata a un’epoca storica che appartiene definitivamente al passato. D’altro canto, l’evidenza con cui il mercato viene dichiarato l’unico dio salvatore mentre gli “esseri umani non più vendibili” (Robert Kurz) vengono consegnati alla disperazione di un’amministrazione della miseria duratura, costituisce il terreno fertile per il fiorire e il prosperare del razzismo e del nazionalismo. Ciò che si va consumando attualmente in Ucraina è, pertanto, un “nazionalismo della disperazione sociale” (Robert Kurz). Un nazionalismo della disperazione che agisce poco meno barbaramente del suo modello storico. L’”autarchia economica” dell’Ucraina, promossa dalle associazioni fasciste armate mira al dunque all’instaurazione di un’amministrazione della miseria particolarmente repressiva associata a un’economia del saccheggio motivata etnicamente, una realtà ormai in molte parti del pianeta. E’ probabile che i confronti armati nell’est dell’Ucraina, visti in una prospettiva ampia, si rivelino solo come il preludio di tutta una serie di guerre civili, e finiscano per culminare nella completa distruzione delle strutture statali e nella caduta nella barbarie di altre parti dell’Europa orientale.

La rovina dell’Ucraina è un monito terribile, uno sguardo a un futuro che, a breve o lungo termine, si avvicina anche agli Stati europei attualmente ancora in funzione.

lpz