venerdì 30 maggio 2014

Robert Kurz, Der Kollaps der Modernisierung (Il collasso della modernizzazione)




di Anselm Jappe


Nel 1990, dopo il crollo del muro di Berlino e lo sfaldamento dei regimi dell'Est, due cose sembravano incontestabili: la vittoria definitiva dell'economia di mercato e della democrazia occidentale, e l'assurgere della Germania a superpotenza. Le divergenze d'opinione riguardavano solo il giudizio da darne. Robert Kurz era allora un profeta nel deserto quando annunciava che la "riunificazione" si sarebbe rivelata un disastro e che il crollo dei paesi dell'Est non era che un ulteriore passo verso la crisi globale dell'economia della merce. L'incipiente disinganno del pubblico tedesco due anni dopo sarà stata la causa del successo di Der Kollaps der Modernisierung che, uscito nel settembre 1991, ha venduto rapidamente ventimila copie ed è stato chiamato dall'autorevole Frankfurter Rundschau "la novità più discussa".

La differenza tra l'economia pianificata e quella di mercato è solo relativa, esordisce il libro, mentre pesa ben più la loro base comune: il "lavoro astratto" che non mira a produrre valori d'uso, ma solo al plusvalore e al mero accrescimento del denaro come "tautologico fine a se stesso" al di là di tutti i bisogni reali. Il capitalismo si è formato ("accumulazione originaria") grazie ad un alternarsi di fasi di interventismo statale spesso brutale e di autoregolamentazione del mercato. Stabiliti i primi capitalismi nazionali, è diventato sempre più difficile per dei nuovi arrivati inserirsi nel mercato mondiale. La rivoluzione russa, indipendentemente dalla volontà dei suoi capi, non aveva - e non poteva avere - come orizzonte il comunismo, ma solo una "modernizzazione in ritardo"; non a caso Lenin stesso indicava nella posta tedesca un modello da imitare. Le categorie basilari della produzione capitalista, quali valore, denaro, salari, prezzi, non sono mai state abolite nell'URSS; piuttosto ha avuto luogo una ripetizione accelerata, e perciò tanto più brutale, dell'"accumulazione originaria". Quando la coscienza occidentale inorridiva davanti al "totalitarismo", vedeva in verità solo un'immagine concentrata del proprio passato. Ai primi successi dell'URSS nell'incremento estensivo della produzione ha però fatto seguito un irrigidimento delle strutture di comando; la sospensione della dinamica interna del valore ne ha esasperato fino all'assurdo i lati negativi, quale il completo sganciamento della creazione di valore dai bisogni sociali. Così l'URSS dopo pochi anni è rimasta nuovamente indietro ed era solo tramite un'autarchia forzata che ha potuto ancora resistere per qualche tempo alla competizione internazionale. E' però un tragico errore se adesso si crede di poter semplicemente sostituire un modello "sbagliato" con quello "giusto": l'economia di mercato non è estensibile a piacimento, ma è al contrario una bestia condannata a divorare se stessa. Ogni aumento di produttività nei centri più progrediti invalida la produzione di valore nei paesi che non possono tenere il passo; al contempo non è più possibile nessun'autarchia. In questa corsa sono andate a terra dapprima le economie del Terzo mondo e poi quelle dell'Est, mentre si sta avviando una lotta finale tra i paesi occidentali stessi. Kurz analizza nei dettagli le aporie che minano alla base anche le due "locomotive" dell'economia mondiale, la Germania e il Giappone. In tutto ciò egli non vede affatto una crisi congiunturale, per quanto grave, ma l'ultima impennata di un modo di produzione fondato sull'utilizzazione astratta del lavoro e della natura e in cui l'altissimo livello di produttività si trova in un contrasto sempre più stridente con la sua subordinazione all'automovimento del denaro. Lo scenario con cui chiude Kurz è apocalittico: una parte sempre crescente dell'umanità non è neanche più "sfruttata", ma tagliata fuori da ogni legame con l'economia e la civiltà. Dalle sue reazioni disperate nascono guerre civili e spaventosi potenziali di imbarbarimento.

Kurz e il gruppo riunito dal 1986 intorno alla rivista Krisis portano avanti da anni una vera e propria rivoluzione teorica di cui i saggi raccolti in Der Letzte macht das Licht aus dimostrano l'ampiezza. Nel suo percorso iconoclastico, Kurz ha attaccato quasi tutte le vacche sacre di una Sinistra la cui entrata in crisi contemporaneamente al capitalismo che pretendeva combattere non gli sembra casuale.

La socializzazione fondata dal valore di scambio è cieca e inconscia e non è affatto il risultato di una volontà preesistente. Indifferente ad ogni contenuto, la forma-valore, quando si impone a tutta la società, non può che portare verso la catastrofe. I soggetti collettivi, come le classi, non sono gli attori della storia, ma essi stessi costituiti e poi dissolti dal movimento del valore; quest'affermazione implica un radicale ridimensionamento del concetto di "lotta di classe". Il conflitto tra proletariato e borghesia non era altro che un conflitto all'interno del rapporto capitalistico. Il movimento operaio, lungi dall'aver avuto come scopo il superamento della società della merce, era addirittura un motore del suo pieno sviluppo: ha combattuto con successo i resti precapistalistici, identificati erroneamente con l'essenza del capitalismo. Così ha promosso il trionfo del capitale astratto sui capitalisti empirici. Il risultato è la sostituzione delle classi con dei ruoli interscambiabili, ultimo compimento della forma-merce, "dietro" la quale non vi è un soggetto agente da smascherare. Adesso si è raggiunto lo stadio in cui diventa attuale il Marx "esoterico" e la sua critica del feticismo, mentre si trova fuori corso il marxismo "sociologistico" che considera i soggetti sociali come un prius e non come un derivato e che crede di poter dominare gli automatismi del valore con la volontà politica. Su categorie come "imperialismo" e "colonialismo" cade così una nuova luce: ormai i presunti "centri imperialistici" non vogliono più fare conquiste durevoli, ma tenere fuori coloro di cui non hanno più bisogno. Il fascismo era, sempre secondo Kurz, un violento scatto nell'imposizione della forma-merce il cui risultato finale è la democrazia occidentale con la sua uguaglianza e la sua libertà formali, di cui il fascismo è dunque un "precursore". Ma non le si può opporre una democrazia "vera", così come alla formale uguaglianza delle porzioni di valore non può mai corrispondere un'identità quantitativa: è piuttosto necessario il superamento di questa forma astratta di socializzazione.

Non vi è un soggetto già costituito - che sia la classe operaia o i popoli del Terzo mondo, o le donne, o i marginalizzati - , nessun "polo buono" pronto ad appropriarsi del mondo e che ne è impedito solo dalla "manipolazione" o dalla violenza delle "classi dominanti". Il valore è una forma "a priori" uguale per tutti, il che significa che a ciascuno i suoi interessi si presentano sotto la stessa forma astratta di denaro e di "diritti democratici". Non esiste dunque - come invece in Adorno, cui Kurz deve non poco - un "resto non reificato" suscettibile di essere mobilitato. Ciò non deve però indurre in disperazione: è la società moderna ad aver sviluppato nel suo seno tutto il potenziale di una società basata sul concreto.

Il saggio Herrschaft ohne Subjekt si occupa del "dominio", categoria molto in voga perché apparentemente più inglobante delle categorie economiche. Kurz prende le distanze dallo strutturalismo, anche da quello di Althusser, e dalle teorie dei sistemi. Per Kurz, il soggetto non è né un errore teorico, né un mero burattino, bensì "un burattino che tira esso stesso i fili". Il soggetto esiste, ma non è consapevole della propria forma, la quale precede anche ogni possibile "coscienza di classe". Soggetto ed oggetto non sono datità ontologiche, ma costituite ambedue dall'inconscio. Per la comprensione della costituzione feticista di questo inconscio sono utili tanto Freud quanto Marx, perché bisogna vedervi il prodotto di un processo storico, e non un dato individuale e naturale. Il dominio esiste effettivamente, ma non come arbitrio personale, bensì come un fluido che pervade tutto.

L'ambizioso tentativo di Krisis di leggere la storia come una "storia di rapporti feticistici" in cui il valore è succeduto alla terra, alla parentela di sangue, al totemismo in quanto forme in cui si esprime la potenza umana inconscia di se stessa, sfocia nell'affermazione che tale "preistoria" dell'umanità sta per finire. Tutte queste forme sono diventate una "seconda natura", strumento indispensabile all'uomo per differenziarsi dalla prima natura, ma ormai è tanto possibile quanto necessario per l'umanità procedere a una "seconda umanizzazione", questa volta cosciente.

La coerenza con cui Kurz porta fino alle estreme conseguenze i propri assunti comporta evidentemente molti punti discutibili e qualche forzatura. Ma l'enorme ricchezza di spunti, di cui si è qui riassunta solo una parte, e il modo in cui egli taglia corto su molti punti discussi stancamente da decenni, fanno sì che si possa essere sicuri di trovarsi di fronte ad un filone teorico promosso ad un grande futuro, anche perché è uno dei pochi che avanza delle proposte per superare in avanti, e non all'indietro, l'attuale stato del mondo, e ciò senza impotenti appelli all'etica.