Con Marx oltre Marx: il progetto teorico del Gruppo "EXIT!"
Il testo qui
presentato intende sintetizzare in una sorta di "istantanea" il
processo di elaborazione teorica sviluppato fino ad oggi dall’approccio della
critica sociale difesa in questa pagina di Internet. Potrà servire come
orientamento per nuovi interessati. E’ un testo programmatico, non nel senso di
un programma politico, che stabilisca una "linea", ma nel senso di un
programma teorico, in molti aspetti ancora da sviluppare.
Dalla fine degli anni ‘80 assistiamo in tutto il mondo
all’agonia del marxismo, del socialismo, del movimento operaio, dei movimenti
di liberazione nazionale e non solo. Anche il classico welfare state borghese è
in disintegrazione, il paradigma keynesiano è solo nostalgia e i regimi di
"sviluppo" nel terzo mondo crollano anche nelle loro varianti
filo-occidentali. Nemmeno il revival nostalgico del romanticismo rivoluzionario
terzomondista ha una sua prospettiva storico-sociale. Si tratta piuttosto di
sottoprodotti della globalizzazione, come è il caso del regime del caudillo
marxista volgare Chavez, in Venezuela, sostenuto solo dall’esplosione del
prezzo del petrolio, che si allea con l’islamismo antisemita. Oppure è il caso
delle correnti etnico-populiste, come gli Zapatisti nel Messico, che
trasformano il programma di sviluppo nazionale, senza più oggetto, in una
folcloristica autoamministrazione della miseria con democrazia di base.
I vecchi paradigmi di sinistra di riforma e rivoluzione nella
concezione tradizionale diventano caduchi su scala planetaria una volta che
ormai non esiste più orizzonte alcuno di regolazione e di trasformazione
organizzate statalmente. Ovunque, le istituzioni che restano dell’antica lotta
degli interessi sociali, issano la bandiera bianca della resa. Il concetto di
"riforma sociale" si è trasformato nel suo esatto opposto ed è stato
semanticamente occupato dalla controriforma neoliberale, che passo per passo va
riducendo al nucleo repressivo che sempre le fu inerente tutte le conquiste
sociali, i sistemi di sicurezza sociale e i servizi pubblici. Il paradigma
neoliberale ormai non è più una posizione peculiare, ma un consenso trasversale
ai partiti, cui attinge gran parte della sinistra, alla quale più non riesce
che, come opposizione apparente, dare espressione a ideologie retrograde di
un’epoca passata, o a loro deboli adattamenti. Per questo la resistenza diventa
sempre più debole; perfino gli stessi grandi scioperi e i movimenti incendiari
di massa terminano sistematicamente nella sconfitta e nella rassegnazione.
Apparentemente il capitalismo ha vinto su tutta la linea. E
questo non solo come potere esterno repressivo, ma anche all’interno dei suoi
soggetti. L’apparente "legge naturale” del mercato e l’universalità
negativa della concorrenza sono vissute come condizioni insuperabili
dell’esistenza umana, sebbene i loro effetti siano devastanti, umilianti e
insopportabili. Quanto più chiaro diventa che quest’ordine sociale planetario
comporta l’autodistruzione sociale ed ecologica, più ostinatamente gli
individui si aggrappano alle categorie e ai criteri di questa forma negativa di
socializzazione che hanno interiorizzato. Nella stessa misura in cui la ragione
borghese si dissolve in quella barbarie della quale Marx aveva avvertito, il
pensiero sociale rifiuta qualsiasi riflessione critica e invoca una
"civilizzazione" capitalista, affermata e immaginata come progresso
positivo solo ideologicamente. Lo stesso potere militare della polizia mondiale
capitalista non risolve alcun problema ma aggrava solamente il caos distruttivo
e la caduta di prospettive (come in Iraq dall’intervento del 2003). Il
capitalismo ha vinto solo nella forma della sua stessa crisi, che è diventata
crisi dei suoi famosi “soggetti agenti”, e perciò non apre più alcuna via
all’emancipazione sociale. La nuova qualità della crisi paralizza la critica
invece di mobilitarla.
Questo paradosso richiede una spiegazione. Nello spazio di
lingua tedesca si formò alla fine degli anni ’80 una posizione teorica che si
confrontava con questo problema. In questo ambiente si voleva analizzare
criticamente la “storia della sinistra”, dei 150 anni del marxismo e del
movimento operaio. Il gruppo "EXIT!", intorno alla rivista teorica
con lo stesso nome, si concepisce come il risultato di questi sforzi e promuove
il loro attuale sviluppo. "EXIT!" discute il marxismo per così dire a
partir da dentro, per dare alla teoria di Marx una forma nuova, con la quale
possa entrare negli orizzonti del secolo XXI. Per questo è necessario fare
domande impietose al pensiero marxista. Poiché il marxismo è considerato la
forma teorica par excellence della
critica del capitalismo. Come può essa cadere nella sua maggiore crisi di
sempre, proprio insieme all’oggetto della sua critica? Perché non risponde alla
nuova situazione mondiale alle soglie del XXI secolo? Perché tutto il suo
apparato concettuale si presenta tanto irrimediabilmente obsoleto?
Questa posizione del problema non è del tutto nuova, benché si
sia molto acutizzata con il collasso dell’Unione Sovietica. Già negli anni ‘60
era chiaro che il paradigma marxista tradizionale era esaurito e non riusciva a
seguire lo sviluppo capitalista. E’ vero che i movimenti di liberazione
nazionale del Terzo Mondo, i quali si legittimavano in parte con il marxismo,
sembravano raggiungere allora l’apice (in realtà dovevano estinguersi poco
dopo); ma era evidente che il socialismo di Stato burocratico dell’est
cominciava a perdere la capacità di sviluppo interno e la forza di attrazione
esterna. Allo stesso modo era già possibile percepire nitidamente che il
movimento operaio occidentale, dopo più di un secolo di efficacia, non aveva
più forza e ormai rappresentava un modello storico concluso.
Dal punto di vista di "EXIT!", la cosiddetta nuova
sinistra, nel contesto del movimento studentesco del 1968, ancora non era nella
posizione di raggiungere il nuovo orizzonte del problema e sviluppare un altro
paradigma di maggiore portata nella critica del capitalismo. Essa si limitava
essenzialmente a selezionare i materiali del marxismo e dell’anarchismo fino
allora esistenti, a "inscenare" un’altra volta alcune varianti e
correnti sotterranee del vecchio radicalismo di sinistra, come in una specie di
teatro di fantasmi, e a ripetere tutto lo spettro delle forme tradizionali di
organizzazione, nel formato in miniatura delle sette. L’abbondante letteratura
del marxismo degli anni ‘70 nella maggior parte non era originale, poco più di
una reminiscenza di commenti a una storia già morta, nella forma di zelanti
lavori accademici e politici. Oggi si copre di polvere nelle biblioteche.
"EXIT!" si smarca con la stessa chiarezza dal
cosiddetto pensiero postmoderno, che, parallelamente e in mediazione con la
nuova sinistra, ha tentato di superare il marxismo tradizionale attraverso un
"disarmo della teoria". Con il concetto peggiorativo di "grande
teoria", sono state poste sotto sospetto di totalitarismo le principali
costruzioni teoriche dei secoli XIX e XX, specialmente il marxismo. I supposti totalitari
concetti del tutto sociale, con la loro differenza tra essenza e apparenza,
dovevano essere sostituiti da un relativismo fenomenologico non essenzialista;
la critica dell’economia politica è stata sostituita dal
"culturalismo", l’analisi reale dal culto della virtualità. Il
postmodernismo è diventata la teoria di moda degli anni ‘80 e ‘90; e tutta una
generazione di sinistra più giovane è cresciuta con essa. Questa teoria non
sembra però per nulla adeguata a elevare la critica del capitalismo all’altezza
del XXI secolo. L’"orrore economico" totalitario reale ha screditato
completamente il culturalismo postmoderno e la sua riduzione fenomenologica
della teoria critica. I più recenti tentativi di reinterpretare alla maniera
postmoderna il marxismo del movimento operaio (come è il caso del pensiero
"post-operaista" di Hardt/Negri o di John Holloway) rivestono
soltanto le vecchie categorie con una nomenclatura differente,
soggettivizzandole in maniera quasi esistenzialista; la "teologizzazione
della critica" che gli è associata implica un’autoestetizzazione dei
movimenti priva di prospettive di contenuto, e l’attesa
dell’"evento", che subentra al posto di criteri di contenuto per una trasformazione
emancipatoria di fondo.
"EXIT!" ha seguito un cammino completamente diverso:
è tornata alla critica dell’economia politica, ma non nel senso tradizionale,
del "marxismo del movimento operaio". Si tratta invece di quella
dimensione della teoria di Marx che è rimasta completamente nascosta nella
sinistra fino a oggi esistente, o che, in una minoranza di riflessioni teoriche
avanzate, nel migliore dei casi fu bandita come ragionamento
"filosofico" astratto, rinviando la sua efficacia pratica a un futuro
immaginario: ossia, si tratta della critica del feticismo moderno, della
critica della produzione di merci come sistema, della critica della
"valorizzazione del valore" (Marx) in quanto "soggetto
automatico" (Marx) della società.
Includere nella riflessione questa dimensione profonda di
tutta la modernità ha come conseguenza lo smettere di vedere le categorie
basiche del moderno sistema produttore di merci come oggetti positivi
ontologici, alla maniera del marxismo tradizionale, per sottometterle invece a
una critica radicale, in quanto oggetti negativi e storici. In un primo momento
questo vale per le categorie economiche in senso stretto, ossia, la razionalità
dell’economia aziendale, il "lavoro astratto" (Marx) e le sue forme
di espressione: valore, merce, denaro e mercato. La liberazione può essere
pensata solo al di là di queste categorie, non "dentro" o
"con" esse. Il marxismo tradizionale non aspirava a superare le
categorie del sistema produttore di merci, ma solo a moderarle
"politicamente". Ma la politica e le sue forme d’esistenza
istituzionali, Stato, democrazia e nazione, formano solo l’altro polo del
sistema del moderno feticcio, costituito dalla forma giuridica dei soggetti
borghesi. Le categorie economiche e politico-giuridiche sono solo le due facce
della stessa medaglia. Il moderno soggetto di tutte le classi è un soggetto
schizoide, diviso tra homo economicus e homo politicus, tra bourgeois e
citoyen. La sinistra ha sempre preteso di addomesticare il bourgeois attraverso
il citoyen, di dirigere il mercato attraverso lo Stato, di regolare l’economia
del "lavoro astratto" attraverso la politica, di formare i soggetti
del denaro attraverso la nazione. Ma la questione è abolire allo stesso modo
entrambe le facce del feticismo moderno invece di giocarle una contro l’altra.
Così si raggiunge una prospettiva che non si limita più
all’opposizione sociologica immanente tra le “classi” del lavoro salariato, da
un lato, e i rappresentanti del capitale, dall’altro, ma che piuttosto prende
come bersaglio il sistema di riferimento comune a queste classi. L’obsolescenza
di questa connessione formale comune si manifesta ora anche nella caduta della
nuova classe media, che era un prodotto della socializzazione capitalista
negativa. Il nostalgico riferimento alla vecchia lotta di classe ideologizza,
in buona misura, solo gli interessi di attaccamento immanente della classe
media in caduta, che desidera rivendicare per sé, una volta di più, il defunto
paradigma del "lavoro" (anche in versioni neo-utopiche), invece di, in
contrasto col vecchio movimento operaio, prendere come bersaglio i modi della
socializzazione capitalista e pensare a come andare oltre ad essi.
Poiché il marxismo tradizionale della lotta di classe ha
problematizzato solo l’appropriazione giuridica superficiale del plusvalore da
parte del capitalista, "EXIT!" tematizza la forma sociale del
"soggetto automatico" che ne sta alla base. Il plusvalore smette di
essere un oggetto positivo, che gli uni hanno e gli altri non hanno, e che si
possa esigere o tirare. Al contrario, si tratta di un fine in sé irrazionale,
sopra a tutti i soggetti agenti. "Valorizzazione del valore"
significa un riagganciamento cibernetico del valore a sé stesso, come una
specie di macchina sociale. Come il valore, in quanto forma d’accumulazione
senza fine, così anche il "lavoro astratto", così come il suo
contenuto, diventa allo stesso modo un fine in sé irrazionale, indifferente a qualsiasi
qualità sociale o materiale.
Il marxismo tradizionale ha fatto della forma e del
contenuto del feticismo moderno condizioni ontologiche e astoriche di una presunta
condizione umana. Ma ora si tratta di storicizzare queste categorie e per poter
dunque rendere pensabile il loro superamento. La critica del capitalismo del
marxismo tradizionale si restringeva alla critica dell’involucro giuridico
superficiale della proprietà privata, in quanto forma e contenuto della stessa
riproduzione capitalistica erano positivizzati acriticamente. Ma il valore e il
"lavoro astratto", in quanto "lavoro" in generale, in
quanto "dispendio di nervi, muscoli e cervello" (Marx), non rimangono
come fondamento ontologico "dopo il capitalismo", come suggerisce una
critica del plusvalore ridotta alla forma giuridica e alla distribuzione; al
contrario, il "lavoro" e il "valore" formano l’essenza del plusvalore,
e, con esso, del capitale, o dello stesso "soggetto automatico". Il
programma della critica non deve essere la distribuzione giusta del valore, ma
la sua abolizione in quanto forma irrazionale di una "ricchezza
astratta" (Marx) distruttiva. Non sono né il "punto di vista del lavoro"
né l’"orgoglio per la creazione del valore" che conducono oltre il
capitalismo ma, al contrario, la critica radicale delle moderne
"astrazioni reali" di lavoro e valore.
Di fronte a questo piano principale, l’approccio teorico di
"EXIT!" si presenta frequentemente anche sotto l’etichetta di
"critica del valore" o "critica del lavoro". Ma il moderno
feticismo non si esaurisce in questo contesto; una critica che si riducesse
alla forma del valore e alla sostanza del lavoro sarebbe essa stessa mutilata e
riduzionista. Si tratta di includere nella critica anche il carattere
metafisico di tutta la società moderna e del suo "soggetto
automatico". Il concetto di feticcio in Marx già punta in questa
direzione. Il feticismo del moderno sistema produttore di merci non solo
costituisce un’"analogia" con le rappresentazioni religiose, come
dice Marx, e inoltre non può essere semplicemente appreso come semplice
"ideologia", nel senso di un pensiero costruito in
"camuffamenti", ma è esso stesso una costituzione metafisica e
contemporaneamente reale della società e della sua riproduzione, tanto
materiale quanto culturale-simbolica. La
modernità, nelle sue relazioni, non ha superato la metafisica, come essa stessa
crede, ma ha solo fatto scendere la trascendenza dall’antica radice religiosa a
un'immanenza puramente terrena; essa non è "post-metafisica", ma
"realmente metafisica", in una maniera nuova rispetto alle antiche
formazioni agrarie. La religione è stata dissolta solamente come principio di
direzione celestiale della riproduzione e trasformata in “questione di fede
privata", per collocare al suo posto il non meno metafisico principio di
direzione terrena della relazione del capitale. Il "soggetto
automatico" del moderno sistema produttore di merci non è la ragione umana
liberata ma il paradosso di una "trascendenza immanente" in un cieco
processo nella forma dell’astrazione valore, il quale resta al di là delle
necessità umane e al di là del mondo fisico, ma che ha trasformato, tuttavia,
queste necessità e questo mondo in materiale esteriore a sé. Qui è inclusa
una nuova qualità della forza distruttiva, che supera tutte le potenze
autodistruttive delle precedenti formazioni di feticcio.
La cifra critica della metafisica reale moderna include una
critica radicale del secolo dei Lumi, in quanto fondamento ideologico e filosofico
di tutto il pensiero moderno. L’Illuminismo non è stato soltanto repressivo
fornendo le idee per un disciplinamento dell’umanità nel "lavoro
astratto" e per il completo controllo degli esseri umani che gli è
associato, come Foucault ha dimostrato fenomenologicamente. E’ stato anche
determinante nella costituzione del moderno soggetto schizoide, avendo elevato
le forme della metafisica reale a categoria di ragione positiva e avendo
presentato la rivoluzione capitalista come metafisica della storia del
"progresso".
Il marxismo tradizionale non è stato molto più di
un’appendice dell’Illuminismo borghese; così come il plusvalore, esso voleva
rivendicare anche l’”eredità borghese” ideale, per darle continuità, invece di
rompere con essa. Ciò che il marxismo "ha ereditato" dall’Illuminismo
è stata esattamente la falsa ontologizzazione delle categorie basiche della
socializzazione capitalistica. L’illusione politica della sinistra consisteva
essenzialmente nel rivendicare gli ideali borghesi dell’Illuminismo contro la
realtà borghese, invece di sbarazzarsi di questi ideali in quanto ideologia
positiva di questa realtà negativa. Gli approcci della critica del soggetto e
dell’Illuminismo nelle teorie postmoderne, d’altro canto, non hanno conseguito il
risultato di portare la discussione oltre il marxismo, perché sono rimaste
ridotte al culturalismo, non continuando a sviluppare la critica dell’economia
politica. Al voler eludere le categorie e al lasciare di lato questa dimensione
decisiva in quanto presunto “economicismo”, invece di riconoscerne la
metafisica reale feticista della modernità, la critica postmoderna è rimasta
fenomenologicamente ridotta e preda dell’ontologia capitalista. Per questo,
anche la maggior parte dei postmoderni è regredita al soggetto borghese e a una
politica superficiale.
L’ulteriore sviluppo della teoria di Marx, da un’interpretazione
positivista a un’interpretazione radicalmente critica delle categorie sociali
moderne e della loro connessione, non può essere concepita come un’interpretazione
universalista astratta. Tale intenzione riprodurrebbe essa stessa la metafisica
reale moderna. Si tratta sempre di più di distruggere l’universalità positiva della
rivendicazione illuminista. Il moderno sessismo, il razzismo e l’antisemitismo
sono fondamentalmente contenuti nel pensiero illuminista stesso poiché sono
strutturalmente correlati al moderno sistema produttore di merci realmente
metafisico, una volta che entrano distruttivamente in processo le sue
contraddizioni.
Il "soggetto
automatico" non è in alcun modo sessualmente neutro ma ha piuttosto come
presupposto essenziale una specifica relazione tra i sessi. Come la modernità
non ha superato la metafisica come relazione sociale, ma l’ha costituita di
nuovo, così non ha superato il carattere patriarcale dell’"Occidente
cristiano", ma l’ha riconfigurato e oggettivato. Il dominio patriarcale
moderno non deve essere inteso come relazione sociologica superficiale, in
contraddizione con l’universalismo astratto della forma merce e che in esso
potrebbe essere abolito, ma costituisce un momento centrale di questo stesso
universalismo. Tutti i momenti della riproduzione sociale, della vita personale
e delle relazioni sociali che non sono assorbibili dalla logica astratta del
valore o che lo sono solo in maniera riluttante e con la perdita del loro
carattere proprio (cura dei bambini, "lavoro domestico", "lavoro
amoroso e di relazione", funzioni socio-psichiche di ammortizzazione etc.)
furono dissociati dall’universo politico-economico e definiti storicamente come
"femminili". Il capitalismo, pertanto, non è solamente la
connessione delle sue forme categoriali, ma è sempre anche un processo di
dissociazione. La relazione del valore è contemporaneamente una relazione di
dissociazione di determinati momenti della riproduzione sociale; solamente le
due cose insieme possono formare il concetto critico della società moderna. Il
valore e il suo soggetto sono definiti come strutturalmente maschili. La
moderna relazione tra i sessi è concepita, così oltre Marx, allo stesso livello
concettuale del capitale, e non più come una mera appendice subordinata.
L'universalismo astratto della modernità si rivela così
nella realtà un universalismo androcentrico; nella forma del valore e nella
sostanza del lavoro, nella democrazia, nella politica e nel diritto moderno, è
inscritta la supremazia maschile. Anche se le donne non sono mai state
confinate esclusivamente nella sfera del privato e nei momenti dissociati, ma
sono state integrate in maniera crescente nella sfera pubblica del "lavoro
astratto" e della politica, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale,
lo stesso, la loro posizione ha continuato nell’insieme ad essere subordinata.
La dissociazione sessuale vige non solo nel privato borghese, ma anche nella
vita pubblica borghese. Lo stesso nei domini della politica e dell’economia,
dove sono state attribuite alle donne funzioni in gran parte di ammortizzatore
psicosociale delle tensioni; anche qui esse passano come "segni"
cultural-simbolici dell’addomesticamento della "natura". Dal punto di
vista immanente-empirico ciò significa che esse sono in media più mal pagate,
raggiungono più raramente posizioni di leadership e devono lavorare il doppio
degli uomini per ottenere metà del riconoscimento. Allo stesso tempo,
l’inclusione delle donne nella società ufficiale dell’economia e della politica
non significa che la loro responsabilizzazione nello spazio del privato sia
stata superata e ripartita equamente tra uomini e donne. Invece di ciò, le
donne soffrono di regola un doppio carico, perché le sono attribuite
contemporaneamente competenze nel lavoro salariato e nelle faccende domestiche
della riproduzione. Il femminismo trasse da ciò la falsa conseguenza di
rivendicare semplicemente l’uguaglianza immanente delle donne, invece di
criticare radicalmente la relazione del valore-dissociazione soggiacente ai
fondamenti dell’asimmetria sessuale. Una volta che il carattere androcentrico
della modernità è inscritto nella sua stessa struttura essenziale, non può
essere rotto nel terreno della forma universale del valore.
L’universalismo astratto della modernità non è solo
androcentrico, ma anche occidentale. Così come una grande parte dell’umanità non
occidentale è rimasta marginale nel sistema mondiale della produzione di merci
e non è uscita dal livello inferiore dello sviluppo capitalista a causa del
ritardo storico, allo stesso modo anche la generalizzazione globale della forma
del soggetto occidentale è rimasta legata a una tendenza socio-culturale
distruttiva e ad una "classificazione di seconda" tanto materiale
quanto simbolica.
La concorrenza universale inerente al moderno sistema
produttore di merci suscita nei soggetti agenti la necessità di immagini del
nemico. Dove non penetra la critica della metafisica reale moderna, i soggetti
trasformano le loro esperienze di sofferenza in proiezioni verso
contro-soggetti, che sono costruiti come "subumani" (di colore), o
come "superuomini negativi" (ebrei). Le ideologie del razzismo e dell’antisemitismo,
così come l’ideologia del sessismo, sono così strutturalmente riferite alla
metafisica reale moderna. Il soggetto universalista è essenzialmente un
soggetto maschile-bianco-occidentale (MBO). La generalizzazione della forma di
questo soggetto MBO porta a multiple rifrazioni nella coscienza dell’umanità
extraeuropea e degli immigrati, attraverso le quali sorgono misture di
sessismo, razzismo o "etnicismo" e antisemitismo.
Anche considerando il
soggetto maschile-bianco-occidentale e l’universalismo androcentrico, la
sinistra tradizionale è rimasta all’interno dell’orizzonte della metafisica
reale moderna. Il marxismo del movimento operaio era, secondo la sua stessa
concezione, androcentrico e riproduceva la dissociazione sessuale, così come il
"lavoro astratto". Allo stesso tempo, per la sua origine, era bianco
e occidentale, nel migliore dei casi paternalista nei confronti degli esseri
umani extraeuropei e molte volte vulnerabile alle ideologie razziste. Soprattutto, il marxismo
tradizionale rimase considerevolmente cieco di fronte al pericolo
dell’antisemitismo, perché non era capace di riconoscere la relazione
strutturale di questo alla metafisica reale capitalista. La critica marxista
del sessismo, del razzismo e dell’antisemitismo non andava oltre il falso
universalismo dell’Illuminismo borghese; per questo rimase impreparata. E
anche in questa prospettiva il culturalismo postmoderno non può superare il
deficit, ma solo aggravarlo. La critica postmoderna del sessismo, del razzismo
e dell’antisemitismo, fenomenologicamente ridotta, rimane confinata al “culto
della differenza”, senza dare rilievo ai fondamenti sociali di queste ideologie
nelle contraddizioni del “soggetto automatico”.
Se la formazione di
ideologie distruttive può essere compresa solo nel contesto della metafisica
reale moderna, tuttavia, esse non si manifestano in nessun modo
“obiettivamente” e come legge quasi naturale. L’ideologia non decorre
automaticamente dalle forme sociali del valore, del “lavoro astratto” e della
relazione tra i sessi come gerarchia patriarcale, ma costituisce
un’elaborazione autonoma della coscienza. La coscienza si relaziona qui, di
fatto, con i suoi presupposti sociali, non però come semplice “riflesso”, al
quale sarebbe come costretta, bensì come risoluzione (decisione) negativa.
Dunque gli individui e le istituzioni, in quanto portatori di ideologie, sono
anche responsabili per le derivanti azioni di ostilità contro altri esseri
umani. Non si è oggettivamente condizionati all’ideologia (sessista, razzista,
antisemita), come si è oggettivamente condizionati a “guadagnare denaro” o a
comprare merci. Da qui non solo è possibile l’ideologia, ma anche la sua
critica e la critica radicale della situazione.
L’apriori delle
ideologie è l’assimilazione affermativa dei problemi dell’esistenza nel
capitalismo. Le condizioni di vita interiorizzate alla maniera capitalista
non sono poste in questione e le contraddizioni sociali (incluse le stesse
contraddizioni del soggetto) sono rigettate verso l’esterno attraverso
proiezioni, nel senso della concorrenza universale. Dunque non si tratta solo
della dinamica oggettiva di autocontraddizione del “soggetto automatico”, per
la quale è determinato lo sviluppo capitalista con le sue rispettive crisi, ma
allo stesso tempo dei modi di assimilazione soggettivi e ideologici o critici.
Solo le due cose insieme costituiscono il processo sociale reale.
L’ideologia non può
fermare la dinamica oggettiva del "soggetto automatico", né virarla
in un’altra direzione. Come momento autonomo può, però, co-determinare le forme
fattuali dello sviluppo e a volte marcarle decisivamente. Così si costituì la
"comunità del popolo tedesco" nazionalsocialista, al cui centro era
Auschwitz, ancorché sullo sfondo della grande depressione nella prima metà del
XX secolo. Tuttavia, il nazionalsocialismo e i suoi crimini non furono il
risultato oggettivo della crisi, ma un prodotto della volontà ideologica
soggettiva dei tedeschi. Questa volontà si manifestò, allo stesso tempo, per
niente oltre la logica del valore. Al contrario: la Germania del dopoguerra,
trionfante nel mercato mondiale, trasse profitto dalla modernizzazione fordista
del nazionalsocialismo. Così, nella storia reale della crisi e della
modernizzazione l’ideologia del nazionalsocialismo ha messo il suo
inconfondibile timbro e ha manifestato una "possibilità estrema"
contenuta in questo sviluppo. Per questo la teoria critica, oggi, può essere
formulata solo come teoria critica dopo Auschwitz.
La nuova posizione teorica di "EXIT!" sarebbe
incompleta se non potesse spiegarsi a sé stessa. Ciò risponde all’esigenza di
determinare la propria posizione storica. Non siamo più intelligenti dei nostri
predecessori nella critica del capitalismo, ma ci troviamo in un’altra
situazione storica, più avanzata. Non si tratta ora di proclamare una verità
definitiva, assoluta, "decontestualizzata", ma di tenere nel conto il
nuovo contesto storico e di sviluppare un nuovo paradigma teorico, che
corrisponda all’epoca che abbiamo di fronte.
In questa prospettiva, l’antico movimento operaio
occidentale, il marxismo tradizionale, la sinistra politica fino a oggi, il
naufragato "socialismo reale" burocratico di Stato dell’est, così
come i movimenti e i regimi di "liberazione nazionale" del sud, tutti
essi facevano ancora parte della storia dell’ascensione e imposizione del
moderno sistema produttore di merci e della sua metafisica reale. Tutti questi
movimenti non trascendevano l’ontologia capitalista, ma riflettevano solo l’asincronia
storica di quest'ontologia. Si trattava essenzialmente di un processo di
modernizzazione in ritardo. I "momenti incompiuti" del sistema
produttore di merci ancora non maturati furono occupati "dalla
sinistra"; essa stessa diventò il motore della modernizzazione
capitalistica.
In questo senso si deve intendere la rivoluzione di Ottobre
come la "rivoluzione francese dell’est". Non si trattò del
superamento delle categorie capitaliste, ma al contrario della loro installazione
sociale “di recupero”; del resto con metodi da capitalismo di Stato,
perfettamente somiglianti a quelli dell’occidente alcuni secoli prima. Anche i
successivi movimenti di liberazione nazionale del terzo mondo seguiranno poi
questo modello. Questa interpretazione non deve essere ridotta all’aspetto
scientifico-tecnologico, nel senso di un'industrializzazione ritardata. Al
contrario, si trattava di installare le forme sociali di un sistema produttore
di merci, ossia, della sostituzione degli obblighi personali con la
monetizzazione e l’economicizzazione di tutte le relazioni, del passaggio dalle
tradizioni agrarie alle forme borghesi del soggetto e del diritto,
dell’imposizione (invece che dell’abolizione) del “lavoro astratto” e della
dissociazione sessuale moderna. L’orizzonte emancipatorio di questo processo
non era altro se non la “lotta per il riconoscimento” all’interno
dell’ontologia capitalista, e precisamente il riconoscimento delle regioni
periferiche e dipendenti come soggetti nazionali indipendenti del mercato
mondiale.
Lo stesso si applica, infine, al movimento operaio
occidentale. Qui non si trattava del riconoscimento nazionale ma sociale, più
precisamente del riconoscimento giuridico dei lavoratori salariati come
soggetti formali all’interno del sistema produttore di merci. La cittadinanza
ufficiale, fino alla seconda metà del XIX secolo limitata alla borghesia
proprietaria, doveva essere estesa a tutti i membri della società; solo così il
“soggetto automatico" poté subordinare e incorporare tutta la riproduzione
sociale. Attraverso la lotta per la libertà di associazione e riunione, il
diritto allo sciopero, il diritto al voto universale ed egualitario etc., fu
conferito ai lavoratori salariati il soggetto schizoide borghese e cittadino.
In ciò consistettero la "capacità politica" e "capacità
statale" del movimento operaio. Il prezzo fu l’interiorizzazione del
“lavoro astratto", la completa auto-sottomissione al "soggetto
automatico" e alla sua legalità, così come la generalizzazione della relazione
di dissociazione sessuale. Il concetto di "socialismo" usato fino a
oggi, in tutte le sue varianti, può essere ridotto a un "surplus giuridico"
di questa storica “lotta per il riconoscimento” dentro le categorie
capitaliste.
Ciò non significa che la limitazione storica della critica
fosse del tutto inevitabile; ciò fu semplicemente un fatto. Nei conflitti
sociali di fine XVIII secolo si ebbero molteplici momenti di tensione contro le
esigenze del “lavoro astratto" e della relazione di dissociazione
sessuale; ma questa tensione fu successivamente risolta nella linea ascendente
di uno sviluppo continuo della metafisica reale moderna. Cosa ci dà il diritto,
nell’inizio del XXI secolo, non solo a sviluppare teoricamente un nuovo
paradigma, ma anche a sperare in una mediazione con la pratica sociale? La
risposta a questa questione risiede nel fatto che la posizione di
"EXIT!" include anche una nuova teoria della crisi capitalista.
Tutte le crisi fino a oggi sono state crisi di imposizione
della relazione di capitale, la quale aveva ancora di fronte a sé uno spazio di
sviluppo storico. Proprio per questa ragione i movimenti sociali potevano
occupare positivamente ogni impeto di accumulazione che seguiva e non erano
costretti a una critica categoriale delle forme sociali. Con la terza rivoluzione
industriale della microelettronica, tuttavia, il capitale urta contro il suo
limite interno assoluto predetto da Marx. Il "lavoro astratto", come
sostanza del capitale, è diventato superfluo allo stesso processo
capitalistico, in una misura tale che svaniscono i meccanismi di compensazione
fin qui vigenti. É proprio questa la ragione per la quale il marxismo
tradizionale vive una crisi qualitativamente nuova, insieme all’oggetto della
sua critica. Non si può dare risposta all’impeto globale della povertà e della
miseria, che arriva fino all’interno dei centri capitalistici, né alla caduta
della nuova classe media, con i vecchi concetti della "lotta di
classe" del "punto di vista del lavoro". La crisi categoriale
esige ora per la prima volta una critica categoriale, e lo stesso pensiero
marxista, limitato all’ideologia della modernizzazione, non è preparato per
questo.
Crisi categoriale significa che non si tratta più
semplicemente di una crisi economica congiunturale, o di una rottura
strutturale, nel passaggio a un nuovo "modello di accumulazione".
Come si vede nel processo di crisi della globalizzazione, ora il limite
immanente del "lavoro astratto" si rende crisi della politica e delle
forme di Stato, democrazia e nazione. Si disfano irreversibilmente borghese e
cittadino, le due anime nel petto del soggetto schizoide. Ciò include
un’elementare crisi di identità sessuale e soprattutto di quella maschile. Il
risultato è un’ondata di violenza sessista, mobbing contro le donne e la
mobilitazione di ideologie androcentriche su scala planetaria. Mentre il
"femminismo della modernizzazione", con la sua mancanza di un
concetto di dissociazione sessuale inscritta nella genesi della forma moderna,
s'illude di poter dare una lucidata immanente alla gerarchia sessuale, adesso,
nelle ideologie conservatrici di crisi in espansione, "la donna" è
invocata come risorsa di risoluzione dei problemi, come istanza
"materna" senza costo, che deve mitigare la disgregazione sociale e
sulla cui schiena questa deve essere scaricata. Allo stesso modo dilagano
tendenze razziste, "etniciste" e antisemite, come la miccia della
polvere.
In questa crisi sociale mondiale, sviluppare la critica
categoriale del moderno sistema produttore di merci e della sua metafisica
reale non significa per "EXIT!" elaborare concetti a breve scadenza
per vincere la crisi e offrirli in una vendita ambulante di idee. La critica ha
da poter essere per principio negativa e solo dalla negazione dei fondamenti
può sorgere una pratica alternativa. Si tratta di organizzare coscientemente
l’utilizzazione delle risorse e delle possibilità umane in nuove istituzioni
sociali, invece di seguire ciecamente le “leggi” di una “seconda natura”
feticista. Se nel passato la critica categoriale fu una possibilità non compresa,
ora è divenuta una necessità di sopravvivenza. In questa nuova situazione
storica, ancora più pericolosa diventa la costituzione delle ideologie e più
necessaria ancora diventa la critica dell’ideologia (senza abdicare
dall’analisi della dinamica obiettiva della crisi). Poiché, dalla crisi
fondamentale della moderna relazione del valore-dissociazione, non segue
necessariamente la liberazione dal feticismo; piuttosto, esso è consegnato
all’azione umana. Allo stesso modo, il cammino per la barbarie e per
l’"affondamento collettivo" (Marx) è ugualmente possibile. L’uscita è
aperta.
La negatività è tanto più richiesta quanto più la critica
dell’ontologia moderna include la critica del pensiero ontologico in generale.
Non c’è alcuna base ontologica sulla quale si possa costruire. Così come non
c’è il ritorno all’Illuminismo, ai miti della rivoluzione borghese e allo
“Stato dei lavoratori”, così non c’è, a maggior ragione, ritorno a un premoderno
idealizzato. La teoria di "EXIT!" rigetta qualsiasi romanticismo
agrario, come quello per esempio che infuria in Francia nella sinistra post-situazionista,
come reazione ideologica alla fine del marxismo tradizionale. Tanto meno si
possono considerare positivamente, come l’"interamente altro",
attività, qualità fisiche e attribuzioni cultural-simboliche imputate alle
donne, tutto quello che è concepito come complemento del “maschile”. Le donne
non sono esseri umani migliori e ciò che gli è attribuito significa anche una
riduzione forzata delle possibilità umane, così come la subordinazione al
processo di produzione capitalista.
Resta da collocare la questione della relazione del nuovo
approccio teorico di "EXIT!" con la teoria di Marx. Non si tratta di
"ortodossia", né di "revisionismo", ma di uno sviluppo
eterodosso. In questa prospettiva si deve parlare di un “duplice Marx",
poiché è possibile dimostrare in Marx due linee di argomentazione differenti e
contraddittorie: da un lato, una teoria della modernizzazione positiva, che
considera il capitale come sviluppo “necessario”, ancora non concluso, fino ad
attribuirgli una "missione civilizzatrice"; e, dall’altro lato, una
teoria critica del feticismo moderno, pertanto della connessione categoriale
che ne è alla base. Il movimento operaio e il movimento di liberazione nazionale
potevano fare qualcosa solo con il primo, con il Marx "positivista"
di una modernizzazione ancora non conclusa, nell’involucro delle categorie
capitalistiche, mentre lasciarono sparire l’altro Marx, il critico categoriale,
che in realtà neanche desideravano comprendere. Per "EXIT!", al
contrario, l’importante è valersi proprio di questa seconda linea di
argomentazione di Marx e continuare a svilupparla, con i concetti di metafisica
reale moderna e di relazione di dissociazione sessuale, ossia, pensare Marx
oltre Marx.
Si comprende perché il nuovo approccio teorico di
"EXIT!" ha provocato le più violente reazioni di difesa dal lato del
marxismo tradizionale rimanente, incluse le sue varianti postmoderne. Il
dibattito sulla “critica del lavoro” e sulla "critica del
valore-dissociazione", inizialmente limitato allo spazio di lingua
tedesca, si è esteso nel frattempo nei paesi latini. Traduzioni di testi
importanti di autrici e autori di "EXIT!" escono in Francia, Italia,
Spagna e Portogallo, in Brasile, in Messico e in Argentina, e anche in Cina e
Giappone. Tanto più necessario diventa far conoscere questa nuova formulazione
e continuazione dello sviluppo della teoria di Marx anche nello spazio
anglosassone. Il gruppo intorno a "EXIT!" è convinto che il nuovo
paradigma teorico "sia nell’aria", e che per tutto il mondo si
svilupperanno indipendentemente approcci ed elementi di questa elaborazione
teorica. Il dibattito sta solo cominciando, e dovrà essere tanto transnazionale
quanto il capitale stesso se il pensiero critico vuole superare la sua
paralisi.
traduzione
by lpz