lunedì 29 gennaio 2007

L'incubo della libertà





I fondamenti dei “valori occidentali" e l’abbandono della critica



Com’è noto, i concetti di libertà e uguaglianza costituiscono gli slogan centrali dell’Illuminismo. Di questi ideali, tuttavia, il liberalismo non fu l’unico ad appropriarsene. Paradossalmente essi hanno giocato un ruolo altrettanto importante nel marxismo e nell’anarchismo. E anche per i movimenti sociali di oggi hanno un alto valore ideologico. La sinistra fissa con lo sguardo gli idoli di libertà ed uguaglianza come il coniglio osserva il serpente. Per evitare di essere accecati dallo splendore di questi idoli è consigliabile rivolgere l’attenzione alla loro base sociale. Marx [1818-83] ha già smascherato questa base sociale più di cento anni fa: si tratta della sfera del mercato, della circolazione capitalista dello scambio delle merci, della compravendita universali.

In questa sfera predomina un tipo ben determinato di libertà e uguaglianza, il quale si riferisce esclusivamente al vendere ciò che si vuole – a condizione che ci sia un acquirente – e al comprare ciò che si desidera – a condizione che si possa pagare. E' solo in questo senso che predomina anche la parità, cioè l’uguaglianza dei proprietari di merci e denaro. In questa uguaglianza non importa la quantità, ma la forma sociale comune. Per un "centesimo" comprare non è lo stesso che per un dollaro; ma è lo stesso se è "centesimo" o dollaro: in termini qualitativi predomina l’uguaglianza della forma denaro. Nel comprare e vendere non si hanno signori e schiavi, ordine e obbedienza, ma soltanto persone libere e uguali nel diritto. E’ lo stesso se si è uomo, donna o bambino, è lo stesso se si è bianco, nero o giallo: il cliente è benvenuto in tutte le circostanze. La sfera dello scambio di merci è la sfera del rispetto reciproco. Dove si realizza scambio di merci e denaro non si ha violenza. Il sorriso borghese è sempre il sorriso di un venditore.

Il sarcasmo di Marx si riferisce al fatto che questa sfera del mercato costituisce solo un piccolo frammento della vita sociale moderna. Lo scambio di merci o la circolazione hanno per presupposto una sfera ben differente, quello della produzione capitalista, lo spazio funzionale dell’economia d’impresa o del "lavoro astratto" (Marx). Qui valgono leggi ben differenti da quelle della circolazione delle merci, qui il sorriso del commesso si congela nel ghigno cinico del coordinatore degli schiavi o della guardia carceraria. Nel lavoro, così già scriveva il giovane Marx, l’operaio "non si sente presso di sé, ma fuori di sé". La libertà nella sfera della produzione di merci è così bassa che neanche può determinare il contenuto, il senso e lo scopo di quel che si produce. Neanche i proprietari di capitale e gli imprenditori hanno questa libertà, perché sono sotto la pressione della concorrenza. Dalla produzione seguono interamente principi di ordine e obbedienza. Dove il regime dell’economia d’impresa è particolarmente "efficiente", alle lavoratrici e ai lavoratori non è permesso neanche di andare a urinare in modo indipendente. Questa severità produttiva, com’è noto, guadagna dimensioni straordinarie nel neoliberismo.

Solo in apparenza la libertà e l’uguaglianza della circolazione, da un lato, e la dittatura della produzione d’impresa, dall’altro, si contraddicono. Da un punto di vista puramente formale, le lavoratrici e i lavoratori sono non-liberi nella produzione perché prima di effettuare la loro libertà nel mercato in qualità di proprietari di merci hanno venduto la loro forza lavoro. Naturalmente, questa libertà di vendere la propria forza lavoro si deve a una coercizione, ossia a una non-libertà: la modernizzazione ha generato condizioni storiche in cui non si ha nessun’altra possibilità di mantenersi in vita. E’ necessario comprare forza-lavoro e impiegarla ai fini dell’auto-valorizzazione del capitale, o vendere la propria forza lavoro e lasciarsi impiegare per questo fine in sé. Quando esistevano ancora produttori indipendenti (contadini e artigiani), non esisteva un mercato universale e la gran parte delle relazioni sociali si svolgeva in altre forme. L’ascesa del mercato universale ha coinciso con il declino dei produttori indipendenti. Solo perché esiste un mercato del lavoro, ossia solo perché la forza-lavoro umana ha preso la forma della merce, anche tutti gli altri beni vennero trattati come merci. Pertanto, la sfera della libertà e dell’uguaglianza esiste come modo generale solo perché la sfera della non-libertà si costituì nella produzione. E’ per questo che la libertà universale si realizza anche nella forma della concorrenza universale.

Questo problema si estende all’ambito della riproduzione personale o della vita privata, dove le merci sono consumate e le relazioni sociali intime trovano il loro posto. Qui si hanno molte attività e momenti della vita che non si riducono alla produzione di merci (economia domestica, educazione dei figli, "amore" etc). Nel processo di modernizzazione, la responsabilità di questi aspetti fu imposta, sul piano materiale, su quello sociopsicologico e su quello simbolico-culturale, alle donne, e di conseguenza essi sono state socialmente svalutate: si tratta di momenti della vita sociale che non sono "degni di denaro", cioè, sono secondari, o di valore minore nel senso della valorizzazione del capitale. Questa "dissociazione" (Roswitha Scholz) non si limita a una sfera secondaria definibile ma permea l’intero processo della vita sociale. Così, all’interno della produzione di merci, le donne sono di regola meno pagate ed è relativamente raro che raggiungano posizioni di leadership. Nelle relazioni personali predomina un determinato codice dei sessi che implica per le donne una relazione di dipendenza strutturale, lo stesso se questa viene spesso rotta o modificata nella postmodernità. In modo analogo, la parte non-bianca e non-occidentale dell’umanità è abbandonata a una subordinazione strutturale, formulata in maniera razzista già dall’Illuminismo.

Solo ed esclusivamente nella sfera della circolazione, cioè nel mercato, tutte le relazioni proprie di un "dominio dell’uomo sull’uomo" sembrano estinte. Questa sfera ipocrita della libertà e dell’uguaglianza non si basa, tuttavia, soltanto su strutture di dipendenza, ma è anche in senso diretto una mera funzione del fine dell’auto-valorizzazione del capitale. Ciò perché il mercato universale non favorisce, contrariamente allo scambio fra produttori indipendenti, la reciproca soddisfazione di bisogni, bensì è solo uno stato di aggregazione o uno stadio di passaggio del capitale stesso. Nella vendita, il valore astratto si "realizza" come denaro, ed è propria questa la funzione dello scambio apparentemente libero. Il capitale monetario originario, che è stato trasformato in merci dalla produzione, ritorna alla sua forma di denaro moltiplicato in profitto. E’ in ciò che si manifesta il carattere del capitale come fine in sé, cioè fare dal denaro sempre più denaro e quindi accumulare "ricchezza astratta" (Marx) in una corsa infinita. Per questo libertà ed uguaglianza della circolazione non sono nient’altro che un ingranaggio per il fine della “realizzazione” del capitale. Compiendo la loro libertà e uguaglianza nella sfera della circolazione, gli individui non fanno altro che compiere l’”auto-mediazione” del capitale, cioè trasformano il plusvalore o il profitto prodotto dalla forma merce in denaro. Ogni atto di libertà deve effettuare una specie di operazione di pompaggio per condurre il capitale da stato di aggregazione "merce" allo stato di aggregazione "denaro".

Così, la moderna libertà borghese ha una carattere peculiare: essa è identica a una forma superiore, astratta e anonima di servitù. Emancipazione sociale sarebbe liberarsi da questa specie di libertà, invece di “realizzarla”. Le cose non sono migliori con il concetto di uguaglianza, che implica apertamente una minaccia, quella di esprimere gli individui in un’unica e stessa forma. La modernizzazione ha infilato l’umanità, per così dire, nell’uniforme omogenea dei soggetti del denaro. Ma dietro si nascondono relazioni di dipendenza strutturale. Nella realtà, i bisogni, i gusti, gli interessi culturali e gli obiettivi personali degli individui non sono mai "uguali"; essi sono stati solo sottomessi all’uguaglianza della forma merce. Di conseguenza, come disse Adorno [ 1903-1969 ], emancipatore sarebbe poter essere "disuguali in pace".

Dall’Illuminismo, l'uguaglianza ha ricevuto la sua falsa aureola grazie a un gioco di prestigio degli ideologi borghesi. Il significato del concetto della disuguaglianza è stato spostato da pura diversità degli individui a subordinazione di un individuo all'altro. Ciò che si limita di per sé a mera espressione della peculiarità individuale, cioè la disuguaglianza, appare improvvisamente come espressione di dipendenza. E viceversa: quello che è in sé stesso espressione di coercizione uniforme, cioè l’uguaglianza, appare improvvisamente come espressione di liberazione dalla dipendenza. Siamo di fronte a un tipico caso di linguaggio orwelliano nell’ideologia moderna. In realtà la disuguaglianza non ha niente a che vedere col dominio e l’uguaglianza non ha niente a che vedere con l'autodeterminazione. Al contrario: l’eguaglianza nella modernità è essa stessa una relazione di dominio.

Il risultato è una contraddizione permanente nell’ideologia moderna. Da un lato, la sfera della circolazione è separata dall’intero contesto della riproduzione capitalista ed elevata ad ideale. Dall’altro, la dittatura effettiva nella produzione e la svalutazione strutturale del femminile sono dichiarate come "obiettiva legge naturale" invalicabile. Incessantemente un aspetto dev’essere necessariamente giocato contro l’altro ed è proprio per questo motivo che si è fissato nella mente. Libertà e uguaglianza rappresentano esattamente ciò che Adorno chiamava "contesto di accecamento”. E la sinistra ha ereditato tale accecamento insieme all’apparato concettuale dell’Illuminismo. Specialmente gli utopisti, socialdemocratici e libertari, anarchici e dissidenti dei paesi del socialismo di Stato, hanno sempre fatto appello alle idee di libertà e di uguaglianza senza riconoscere che queste si limitano alla sfera della circolazione e senza accorgersi del nesso interno tra libertà e non-libertà esistente nella modernità.

Oggi la critica sociale pare più che mai ricadere negli ideali della circolazione, il che dipende da cause strutturali: la crisi mondiale provocata dalla terza Rivoluzione Industriale espelle un numero ogni volta maggiore di persone dalla produzione reale, convertendole forzatamente in agenti della circolazione. Come operatori di servizi a buon mercato di ogni tipo, come venditori, commercianti di strada e perfino come mendicanti, essi vivono adesso in modo paradossale la sfera della libertà e dell’uguaglianza come gioco di un lavoro secondario; la dittatura della produzione si estende ad attività sempre maggiori della circolazione fino ad arrivare a un’imprenditorialità della miseria. Libertà e non-libertà coincidono nell’immediato; ma questo paradosso è ideologicamente assimilato nei termini degli ideali della circolazione. Nella misura in cui gli individui sempre di più vivono sé stessi come piccolo borghesi e come venditori di tappeti del proprio “capitale umano” della circolazione in espansione, l’utopismo dello scambio di merci ritorna, dopo la fine del socialismo del lavoro, in una versione neo-piccolo borghese. In una società in cui permanentemente tutti desiderano piazzare a tutti ogni cosa e dove i rapporti sociali si dissolvono in un bazar universale, i crescenti fenomeni di crisi sono percepiti dalla griglia dell'esistenza vissuta sul piano della circolazione. In un modo francamente compulsivo, un’intellighenzia di venditori di sé stessi interpreta i problemi derivanti dalla terza rivoluzione industriale secondo il modello delle relazioni della circolazione: "un proprietario di merci incontra l’altro". Lo stesso superamento della produzione di merci è pensato conformemente a categorie di "scambio eterno".

Gli individui, la cui costituzione sociale non è riflettuta criticamente e che sono solo apparentemente "indipendenti l’uno dall’altro" nella sfera della circolazione, devono presentarsi in suo "favore" e "mostrare buona volontà", invece di farsi concorrenza; come se il problema non si trovasse sul piano del modo di produzione e della vita sociale, ma sul piano di una "patologia" individuale che potrebbe essere "curata" con misure educative e terapeutiche. Il falso sorriso dei venditori è stilizzato nell’idealizzazione di un trattamento reciproco cordiale non più dettato dalla concorrenza, come se fosse possibile una trasformazione sociale mettendo da parte il modo sostanziale di produzione e della vita, attraverso costruzioni utopistiche, relative al comportamento personale, che hanno tutte la loro radice nella sfera idealizzata della circolazione – visto che gli utopisti neo-piccolo borghesi si definiscono come "medici al capezzale del soggetto".

Propagandata in molti paesi, l’ideologia dello scambio praticamente non rappresenta null’altro che un’economia dell’hobby; dove essa è stata praticata su larga scala, come per qualche tempo durante la crisi argentina, ha fallito miseramente. Ancora più scarso appare il tentativo, sulla base delle indagini dell’etnologo Marcel Mauss (1872 – 1950), soprattutto nella sua opera principale, il "Saggio sul dono", di redimere dalla concorrenza lo "scambio eterno", secondo il modello delle cosiddette società arcaiche, e di trasformarlo in uno scambio di doni, ossia in una specie di Natale permanente. Questa idea di una "economia del dono" non può, per sua essenza, superare l’ambito delle relazioni personali immediate; essa ignora la scala delle forze produttive sociali e dei contesti sociali altamente organizzati. Sarebbe ridicolo se un individuo dicesse a un altro: se mi "doni" un trapianto del rene, in cambio, ti "dono" una trebbiatrice, nel caso ti sembri onesto. Il problema non è mostrare "buona volontà" in maniera reciproca e individuale, ma applicare con senso, e non in forma distruttiva, il potenziale sociale (infrastrutture, sistemi d’ istruzione e scienza, sistemi di produzione industriale e immateriale).

Le utopie della circolazione, al contrario, ricercano una soluzione sempre e primariamente sul piano dei comportamenti individuali. Questo significa frenare il cavallo per la coda. Invece, attraverso una rivoluzione sociale della produzione e del modo di vita, che renda superflue la circolazione delle merci e la concorrenza dei mercati ad essa legati, lo stesso soggetto della circolazione deve al contrario compiere la pretesa ontologia dello scambio in una forma purificata. La concorrenza deve "essere moralizzata". L’emancipazione sociale appare allora come mera conseguenza di un’utopia della libertà e dell’uguaglianza del soggetto della circolazione, presumibilmente "realizzata" in piccoli gruppi. La questione della solidarietà pratica nei contesti sociali critici della società è ideologizzata e convertita in un idealismo pedagogico menzognero, spesso addirittura psicoterapeutico, il quale si può trasformare semplicemente nel terrore della gentilezza e del controllo sociale reciproco (ad esempio secondo il modello delle sette religiose). Questo utopismo circolativo neo-piccolo borghese del capitale umano è condannato al fallimento tanto quanto tutte le utopie precedenti.

Robert Kurz - 2005

Traduzione by lpz