sabato 13 gennaio 2007

Economia politica dei diritti umani

Robert Kurz

Economia politica dei diritti umani

C’è qualcuno che oserebbe criticare i diritti umani? Essere contro i diritti umani sarebbe come per dei bambini essere contro le caramelle. E’ ovvio che tutti quindi siano schierati in modo risoluto per i diritti umani: George Bush e Saddam Hussein, Yasser Arafat e Ariel Sharon, Rudolf Scharping e Amnesty International. In nome dei diritti umani si bombarda in lungo e in largo e si tortura di quando in quando; sempre in nome dei diritti umani le vittime vengono assistite e confortate. Tanto i sostenitori quanto gli avversari delle guerre dell’ordine mondiale capitalistico si appellano ai diritti umani; i Verdi si attestano reciprocamente integrità morale in nome dell’interesse di partito così da essere da entrambi i lati a prescindere da ogni morale.
Ma a proposito dei diritti umani non tutto va per il verso giusto. Più di 150 anni fa un uomo chiamato Karl Marx arrivò a questa conclusione. Asserì che nella dichiarazione dei Diritti dell’Uomo occupavano un posto centrale questi principi: libertà dei soggetti di mercato, garanzia della proprietà privata, sicurezza poliziesca delle transazioni. In altre parole: "uomo" in questo senso non è nient’altro in realtà che un essere che produce merce, che guadagna denaro e che è titolare dei "diritti" elementari dell’esistenza, compresa la "vita e l’integrità corporea", solo se può vendere qualche cosa o per lo meno sé stesso (in casi estremi i suoi organi) ossia solo se esso è "solvibile".
Solo così un uomo è soggetto di diritto e quindi un soggetto di diritti umani, esso deve essere in grado di funzionare nel contesto della legalità capitalistica elevata a legge naturale della società. Per il cosiddetto Illuminismo borghese solo e unicamente l’esistenza dei soggetti del "lavoro" astratto negli spazi funzionali aziendali e della circolazione di merci sui mercati (cioè la sfera di realizzazione della valorizzazione del capitale) è "umana". Si presuppone che l’uomo esca dal grembo materno in questa forma sociale così da potersi rappresentare fisicamente e spiritualmente solo come un essere "economico".
Non è previsto che gli uomini possano sfuggire in quanto uomini a questi presupposti "naturali". Ma proprio questa condizione viene generata periodicamente dal capitalismo stesso. Nel corso della terza rivoluzione industriale è divenuta uno stadio esistenziale irreversibile e duraturo per la maggioranza globale. I "superflui" del capitalismo secondo questa definizione non sono più uomini ma soltanto oggetti naturali come ciottoli, scatole o scarafaggi (il marchese De Sade era giunto a questa conclusione con cinico acume già nel 18° secolo)
Ne consegue che i moderni diritti umani non rappresentano in realtà una promessa quanto piuttosto una minaccia: se non sei più utilizzabile o funzionale secondo la logica aziendale, non sei più per principio un soggetto di diritto e non essendo più un soggetto di diritto non sei più in ultima analisi un uomo. La disumanizzazione potenziale dei "superflui" è pertanto inclusa nel concetto illuministico borghese di "diritti umani", perché l’uomo capitalistico cosificato, nella forma "antinaturale" dell’escluso vale ancor meno di una cosa. Quest’ultima conseguenza rappresenta il principio segreto di tutta l’economia politica e perciò della moderna politica democratica. E’ l’essenza di quel "realismo" che ha inquinato la sinistra politica. Ogni "realpolitik" reca il "marchio di Caino" di questa logica implacabile. Le organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International ecc. non sono conniventi con la "realpolitik", anzi sono spesso una spina nel suo fianco. Con il loro impegno immediato a favore delle vittime di guerre e persecuzioni, la loro incorruttibilità (al contrario dei politici di professione) ed il coraggio spesso dimostrato contro i poteri dominanti rappresentano un’importante istanza di aiuto pratico e non da ultimo di critica empirica e di denuncia. Ma in questo manifestano dei limiti. Essi difendono le vittime proprio in nome del principio che le ha rese tali. Perciò non possono introdurre un elemento necessario di critica sociale; la loro attività non può sfiorare le cause sociali della violenza e della persecuzione così come la Croce Rossa non poteva certo evitare la Prima Guerra Mondiale. Il titolo ideologico della loro autopercezione che rimane borghese, rende estremamente ambigua non tanto la loro attività empirica quanto la sua legittimazione. Perciò si corre il rischio che la loro esistenza ed i loro risultati vengano strumentalizzati per la giustificazione del terrore economico globale.
Il riconoscimento evidente dell’uomo, cioè dell’uomo nella sua esistenza corporale, intellettuale e sociale, può solo trovarsi al di là della definizione capitalistico–illuminista di umanità. Perciò la critica emancipatoria dei diritti umani è il presupposto di ogni critica nel 21° secolo come la critica della religione fu il presupposto di quella del 19° secolo. E’ la critica radicale del "principio di realtà" capitalistico e della sua riduzione economicistica dell’uomo e a partire da quella anche la critica radicale di ogni "realpolitik". Nelle condizioni della crisi mondiale capitalistica non si tratta di una idea estranea al mondo, ma al contrario di un "controrealismo" della legittima difesa che può scongiurare l’esperienza pratica della colossale repressione condotta attraverso il principio economico irrazionale dello scopo autoreferenziale. Occorre avere ben presente questo: i principi fondamentali della realtà dominante anche se bellissimi non sono i nostri principi; dobbiamo liberarci di questa realtà invece di essere "realisti" dal punto di vista dei diritti umani.