martedì 23 gennaio 2007

L’appetito del Leviatano

Robert Kurz
L’appetito del Leviatano
Privatizzazione e "Stato snello": un’illusione

Due anime sono in conflitto in seno all’uomo della modernità: l’anima del denaro e quella dello Stato. L’homo oeconomicus è allo stesso tempo anche un homo politicus. Questa scissione strutturale dell’individuo corrisponde alla polarità istituzionale di mercato e Stato. Nelle società premoderne, per quanto ci è dato comprendere, non vi era traccia di questa separazione. Dominava piuttosto un’unità culturale, un kosmos, al quale venivano subordinate tutte le variegate attività sociali. Il moderno sistema produttore di merci ha distrutto il kosmos delle antiche culture senza riuscire a produrre alcun ordine culturalmente fondato. Al contrario si è verificato il capovolgimento del rapporto tra economia ed ordine sociale: l’economia non è più la funzione di una cultura onnicomprensiva, ma al contrario è "la società umana che si è ridotta ad appendice del sistema economico" (Karl Polanyi).
Ciò significa che gli uomini non possiedono alcuna relazione reciproca di tipo sociale o culturale a prescindere dalle attività economiche. Sono divenuti "individui astratti" o "unità isolate" che assomigliano incontestabilmente alle "monadi prive di finestre" del filosofo Leibniz. La loro connessione sociale viene determinata solo negativamente attraverso la concorrenza economica. Al posto di un kosmos culturalmente mediato è subentrato il denaro cosicché la reale matrice comunitaria della società non appare più umana bensì reificata. Qualsivoglia branco di lupi si dimostra più organizzato socialmente degli uomini dell’economia di mercato.
Già ai primordi di questo assurdo sistema il filosofo inglese Thomas Hobbes (1588–1679) dava una rappresentazione coerente dell’uomo come di un essere primariamente egoista, solitario per sua natura, come un animale. La società nello "stato di natura" non era perciò altro che una "guerra di tutti contro tutti". Hobbes però non aveva realizzato che quella da lui descritta non era affatto la "natura" tout court della società umana, ma il risultato storico di un processo in cui le prime spinte della moderna economia di mercato avevano iniziato a dissolvere le antiche comunità. La nuova libertà dell’individuo, incatenata al mercato, era solo la libertà di sottomettersi alle leggi coercitive della concorrenza. E affinché gli individui non si massacrassero completamente tra loro Hobbes aveva postulato uno Stato in qualità di potere costrittivo che doveva porsi al di sopra degli individui egoistici, battezzandolo con il nome del mostro biblico Leviatano.
I mostriciattoli caratterizzati dall’individualismo dell’economia di mercato dovevano essere tenuti a bada dall’immane mostro del Leviatano statale. Un tipo di società che non lascia certo a desiderare quanto a spregevolezza!
Il Leviatano, al pari della riserva di caccia del mercato, non è di certo un’istituzione culturale e sociale comunitaria. Siccome lo Stato non rappresenta il superamento della concorrenza totale, esso prende le forme di un potere esterno agli individui "senza finestre", di un apparato che, necessariamente, stabilisce il quadro di riferimento comune per i forsennati soggetti del mercato: in questo senso è forse paragonabile all’arbitro di una partita di rugby. Da questo punto di vista ben poco è cambiato dai tempi di Hobbes. Oggi più che allora gli individui "liberi" vengono trattati come esseri che il mercato ha reso incapaci di intendere e volere per ciò che riguarda la loro vita sociale e che perciò devono essere costretti nelle camicie di forza giuridiche e burocratiche del mostruoso apparato dello Stato.
Questo "migliore dei mondi" presenta purtroppo una piccola imperfezione estetica. Come tutti i mostri anche il signor Leviatano è piuttosto ingordo; si pone quindi la questione di come possa essere nutrito. La minorità mentale degli individui della concorrenza si manifesta nel fatto che le loro condizioni di esistenza, sociali e naturali non sono da loro distinguibili. E’ il problema dell’economia di Stato. Lo Stato non è assolutamente un "fattore extra–economico", come spesso si è creduto; poiché esso deve venire finanziato (ed il denaro è incontestabilmente un "fattore economico" a tutti gli effetti) si costituisce in un certo modo un’economia secondaria, l’economia delle condizioni di esistenza comuni degli individui che competono nell’economia di mercato. Per definizione i soggetti nello "stato di natura" della concorrenza non scuciono un centesimo di loro iniziativa. Il colosso statale deve provvedere con la forza ai suoi propri costi (che altro non sono se non i "costi di gestione" dell’economia di mercato) così come deve evitare con la forza che i liberi individui si massacrino a morte reciprocamente.
Già doveva risultare difficile per il colossale Leviatano riuscire ad imporsi contro i piccoli mostri. Ma, cosa ancora più grave, i "costi di gestione" dell’economia di mercato nel corso del tempo sono aumentati sempre più. Quanto più gli uomini si trasformano in soggetti individuali della concorrenza, tanto più grande si fa la necessità di una regolazione giuridica e poliziesca delle loro relazioni e tanto più si espande l’apparato giudiziario ed amministrativo. Neppure l’antico impero bizantino può essere paragonato al moloch burocratico che le moderne democrazie occidentali hanno evocato. Ma questo non è ancora tutto. Perché quanto più la concorrenza ha condotto alla scientificizzazione della produzione e all’impiego di procedure tecniche, quanto più ha determinato la concentrazione di grandi masse umane in agglomerati cittadini, tanto più sono aumentati anche i bisogni per la logistica e l’infrastruttura. E tanto più lo Stato deve provvedere ai presupposti materiali tecnici ed organizzativi per le attività dell’economia di mercato: dalle scuole e università alla costruzione di strade e aeroporti fino alla canalizzazione e alla raccolta dei rifiuti. E di conseguenza i costi divengono sempre più elevati: quanto più gli uomini risultano socialmente sradicati dall’economia di mercato tanto più aumentano i costi di transazione per lo Stato; e quanto più l’ambiente naturale viene assalito e devastato dall’ottusa razionalità aziendale quanto più elevate divengono le spese sostenute dallo Stato per le necessarie misure di ripristino ecologico.
Di tutti questi problemi che implicano spese onerose, lo stolido liberalismo economico che sorgeva nel tardo secolo 18° non voleva sapere nulla. Il brillante cinico Bernard de Mandeville (1670–1733) sosteneva nella sua Favola delle api che la sommatoria delle sconsiderate aspirazioni individuali verso il guadagno privato avrebbe quasi automaticamente assicurato il benessere della comunità. Questa idea ha rappresentato fino ad oggi l’argomento più importante per giustificare il liberalismo economico. Anche Adam Smith (1723–1790), il teorico classico dell’economia politica lo ha notoriamente fatto proprio attraverso la teoria secondo cui la "mano invisibile" del mercato avrebbe saputo regolare la riproduzione complessiva della società meglio che lo Stato. Tuttavia il liberalismo economico non ha mai contraddetto la filosofia dello Stato di Hobbes: il Leviatano avrebbe dovuto astenersi da ogni attività economica e sociale, ma contemporaneamente assolvere la sua funzione di mostro repressivo, nella sua valenza di potere giudiziario, polizia, forze armate per costringere le vittime della concorrenza ad assoggettarsi alle leggi dell’"economia di mercato". Dittatura politica e liberalismo economico potevano così camminare affiancati come Pinochet poteva ben dimostrare.
Nella prima metà del 19° secolo l’attuazione politica dei dogmi liberali condusse a vere catastrofi sociali. Si verificarono sollevazioni sociali, la criminalità di massa esplose e nelle città sovraffollate scoppiavano epidemie. Durante la grande carestia irlandese (1846–1849) il governo britannico in nome del libero commercio lasciò morire in preda alla fame un milione e mezzo di irlandesi e due milioni e mezzo emigrarono in America. Il liberalismo dottrinario minacciò di liquidare completamente la società umana. Contemporaneamente molti industriali iniziarono a rivolgersi all’economia di Stato per le infrastrutture, poiché avevano sperimentato che istruzione scolastica, strade, reti di informazione erano necessarie per una ulteriore accumulazione di capitale.
Si arrivò ad un grande cambiamento paradigmatico. Un numero sempre più grande di teorici riconoscevano la necessità di un’economia statale in espansione. Nel 1867 l’economista tedesco Adolph Wagner enunciò la cosiddetta "legge dell’attività crescente dello Stato". Di rado un pronostico di natura economica si è rivelato azzeccato come questo. Lo dimostra una sguardo alle statistiche concernenti tre significativi paesi occidentali:

Parte della quota statale sul prodotto interno lordo (percentuale).

Anno..........1870.....1960.....1994
Germania.....10.........32.........50
Svezia...........6...........31.........69
USA.............4...........27.........32

Fonte: FMI/Wirtschaftwoche

Appare chiaro che, nonostante tutte le differenze relative, la quota statale si è accresciuta notevolmente dappertutto. Negli USA è salita di uno 0,3 % anche sotto la presidenza Reagan. Da lungo tempo questa elevata quota statale può ancora essere garantita solo attraverso un pericoloso indebitamento statale in continua ascesa. Per questo motivo il liberalismo economico ha conosciuto una nuova primavera, sebbene la sua dottrina sia naufragata già nel 19° secolo. I neoliberali ripetono le idee originarie di Mandeville e di Smith. Essi affermano che la previsione di Wagner non rappresenta alcuna legge economica ma solo la realizzazione di un arbitrio politico. Perciò ritengono possibile un’inversione di tendenza. Il Leviatano, decisamente ingrassato, dovrebbe essere messo a dieta e la maggior parte delle sue funzioni "privatizzate". Circa 130 anni dopo la previsione di Wagner due economisti del FMI, Vito Tanzi e Ludger Schuknecht hanno formulato una contro–prognosi: da oggi la quota statale dovrebbe abbassarsi sino al di sotto del 30 % nel corso di un processo storicamente in controtendenza.
Per chiarire il problema dobbiamo porci la questione circa il carattere delle funzioni economiche dello Stato. Come tutti gli apologeti del liberalismo economico Tanzi e Schuknecht confondono la produzione privata di merci per il mercato con le condizioni sociali complessive di esistenza del mercato stesso. Il liberalismo crede che la maggior parte dei compiti dello Stato possano essere intrapresi da imprenditori privati, orientati al profitto, come per la produzione di automobili o di hamburger. Prima di tutto occorre naturalmente "privatizzare" i rischi sociali del capitalismo, cioè lo Stato deve ritirarsi dalle responsabilità sociali accresciute negli ultimi cento anni per assolvere solo il compito di mostro repressivo. La storia ha già dimostrato che la maggior parte degli uomini a causa della scarsità dei redditi non possono sostenere individualmente il rischio sociale e vengono spinti in una strada senza uscita. Il liberalismo come si sa preferisce assumersi gli oneri per prigioni e squadroni della morte che quelli dell’assistenza sociale per i poveri, anche se i costi della repressione a lungo andare sono più elevati e ingrassano ancora più il Leviatano. La dottrina liberale si dimostra così una forma malvagia di pensiero irrazionale e conduce all’assurdo i suoi stessi criteri.
Ancora più evidente appare l’assurdità della privatizzazione per le altre funzioni dello Stato. Così per esempio è impossibile organizzare le misure ecologiche per la difesa dell’ambiente nella forma di transazioni tra privati, perché il consumo di un ambiente migliore non può essere riservato ad una domanda dotata di potere di acquisto. E’ impossibile mantenere la qualità del clima e dell’aria solo per i quartieri ricchi. L’ambiente o viene migliorato per l’intera società o per l’intera società viene deturpato, indipendentemente dal potere di acquisto degli individui. Perciò la difesa dell’ambiente può sempre e solo apparire come domanda e consumo dello Stato. Anche la canalizzazione, la raccolta dei rifiuti o l’approvvigionamento di acqua possono difficilmente essere riservati alla domanda privata. Ed anche ospedali e scuole non possono essere "privatizzate" senza conseguenze negative per la società che deve sostenere nuovi costi sociali.
Anche quando le funzioni dello Stato vengono assolte da imprenditori privati è illusorio credere di potere dissolvere tali funzioni nel mercato. Anche questi compiti appaiono comunque come costi statali poiché in gran parte devono essere commissionati e consumati dallo Stato. Per esempio quando in Messico fu costruita una nuova "strada del sole" per il trasporto su lunghe distanze di investitori privati, che doveva essere gestita secondo criteri di profitto privato, essa si rivelò un fiasco colossale: le grandi ditte di trasporti ed i conducenti privati non potevano pagare i pedaggi salati ed il traffico tornò a scorrere sulle strade statali, sovraffollate in modo pauroso ma esenti da pedaggi. Comunque si rivolti la questione: presupposti, condizioni e conseguenze dell’economia di mercato sono qualcosa di qualitativamente differente dall’economia di mercato stessa. Si tratta di problemi della società nel suo complesso che non possono essere risolti privatamente. In una società di individui in competizione solo il Leviatano sociale può assolvere a tali oneri. Questo vale del resto anche per le sovvenzioni statali, la cui drastica riduzione riacutizzerà drasticamente la crisi mondiale perché gran parte dell’industria e dell’economia locale in quasi tutti i paesi andrà in malora senza di esse.
Si può sintetizzare il rapporto tra mercato e Stato nel processo della modernità sotto la forma di una legge generale: quanto più Stato tanto più mercato. La relazione tra le "monadi senza finestre" ciecamente in competizione ed il mostruoso Leviatano è analoga a quella tra il dottor Jekyll e Mr.Hyde. Perciò la dottrina del liberalismo economico è falsa quanto la previsione degli economisti del FMI Tanzi e Schluknecht. Il mercato e lo Stato, entrambi ipertrofici, possono solo vivere o morire insieme.